Inattesi e intriganti, i numerosi resti delle opere militari sulla via del Col d’Arpy ci rituffano nella grande Storia europea del Sei e del Settecento. Quando in Valle d’Aosta le campane iniziarono a suonare per festeggiare la cacciata di Calvino, esse si rivolgevano ormai solo più a sparuti abitanti in campagne abbandonate, incapaci di riattare strade e canali, chiuse botteghe e commerci. Invece in Europa, a cominciare da Torino, sia pur in mezzo alle guerre, si elaboravano nuovi saperi, nuove istituzioni, nuove tecnologie che già nei casi più illuminati coinvolgevano la gente comune e creavano nuove ricchezze. Le contrapposizioni di interessi materializzate in queste fortificazioni ci aprono a nuove percezioni sul cammino delle civiltà, anche sulla civiltà alpina, che si rivela estremamente esigente in fatto di apertura e libertà di movimenti. Lungi dal preconcetto dell’autarchia e dell’immobilismo, l’economia e la civiltà si sviluppano in montagna solo se vi è garantita la massima mobilità interna ed esterna per attingere alle diverse fonti di reddito e di cultura. Molti e diversi sono dunque i punti di vista da cui guardare i Trinceramenti del Principe Tommaso.
Luogo: tra Pétosan ed il Colle d’Arpy (San Carlo) nei Comuni di La Thuile e Morgex (Aosta).
Accesso: S.S. 26 del Piccolo San Bernardo, a La Thuile prendere a sinistra per il Col d’Arpy.
Partenza: parcheggio di Pétosan 1750 m.
Quota massima: Col d’Arpy 1970 m.
Dislivello: 220 m circa.
Durata: mezza giornata.
Periodo consigliato: luglio-ottobre o comunque senza troppa neve al suolo.
Consigli particolari: parcheggiare eventualmente una seconda macchina al Colle.
Nelle estati un po’ umide la conca di Pétosan, già suggestiva per la sua dolce e appartata luminosità, si arricchisce di una esuberante e variopinta fioritura ancora per tutto il mese di agosto. La piana acquitrinosa viene gestita a foraggio non appena il suolo glaciale si asciuga un po’ per reggere il peso della motofalce, mentre la sponda lievemente ombreggiata dai larici offre la massima varietà di fiori che il substrato arenaceo, facilmente alterabile, possa nutrire. È dunque in un ambiente idillico che ci inoltriamo lungo la stradina asfaltata dopo aver parcheggiato al bivio, sulla regionale del Col d’Arpy ai confini del Comune di La Thuile.
Giunti al pregevole, minuscolo villaggio di Pétosan abbandoniamo i sentieri e pieghiamo decisamente a sinistra attraversando la spianata per andare a verificare il piccolo complesso lago-emissario-inghiottitoio già descritto in questo sito. Si tratta dell’unico caso in zona di un sistema attivo a livello del reticolo idrografico, con l’acqua che scompare inghiottita nel terreno carsico. Questo esempio ci servirà in seguito per capire il funzionamento degli inghiottitoi “asciutti” che troveremo nel bosco.
Sulla sponda esterna (ovest) del laghetto noteremo l’unico bell’affioramento della bancata rocciosa che trattiene tutto il ripiano acquitrinoso: si tratta di scisti calcarei ben levigati dalle glaciazioni. Con un po’ di attenzione potremo notare che l’antico ghiacciaio oltre diecimila anni fa fluiva in salita, verso la sommità del colle, come indicato dalle strie e dalle montonature asimmetriche della roccia, con gobbe più tese (più “aerodinamiche”) verso sud e più rozzamente scoscese verso nord. Noteremo pure che la roccia è diversa ai due lati della spianata: avevamo del materiale silico-arenaceo lungo la stradina, ora abbiamo calcescisti sotto i piedi. Sul fondo della misteriosa conca di Pétosan dobbiamo dunque registrare anche un contatto fra corpi rocciosi diversi, ad est appartenenti alla Zona Permo-carbonifera assiale, ad ovest appartenenti alle Brecce di Tarantasia.
Seguendo sempre la stessa cresta del costolone roccioso, coperto dalla vegetazione a tratti rigogliosa, a tratti un po’ sottile e arida, ci portiamo a sud, in direzione di La Thuile. Alla nostra destra il versante boscoso sprofonda ripido nel vallone che un po’ più in basso diventerà l’orrido di Pré Saint Didier. Sul fondovalle fra i rami dei larici appare il compatto villaggio di Elèvaz, dalle sorprendenti forme triangolari determinate dal percorso della valanga che lo sfiora ogni anno. Noi procediamo attraverso prati e boschetti in proseguimento della piana di Pétosan, finché appare un ostacolo incongruo: un muro ed uno spalto che tagliano il crestone e piegano poi giù a mezza costa sul ripido pendio, perdendosi allo sguardo nel bosco. Questa è l’estremità nord-occidentale dei trinceramenti detti del Principe Tommaso, che seguiremo a SE fino all’incrocio con la strada regionale del Colle.
Che cosa ci raccontano queste vestigia militari? Anche se le fonti storiche non si dilungano in particolari, dai documenti possiamo risalire alle motivazioni generali della loro esistenza nelle varie fasi in cui hanno funzionato, e cioè per due secoli dall’inizio del Seicento alla fine del Settecento.
- La prima traccia storica ci porta ad una di quelle faticose progressioni dei duchi di Savoia verso il dominio sul territorio padano, intraprese a costo di perdere qualcosa nelle avite montagne savoiarde. Il ducato e la dinastia di Savoia erano fondamentalmente legati al Regno di Francia da necessità di buon vicinato, essendo la Savoia indifendibile da un attacco francese. Ma nell’ambito di questi necessari buoni rapporti i Savoia, nella fattispecie Carlo Emanuele I, ogni tanto con un colpo di mano disobbedivano al potente vicino, magari approfittando di più ampie contese in ambito europeo, per annettersi qualche territorio padano alleato del Re di Francia, nella fattispecie il Monferrato (Ducato dal 1575 con Mantova: rimasto senza eredi è oggetto del contendere nella “guerra dei Promessi Sposi” 1628-1631, in cui i Savoia prendono le parti del candidato spagnolo). L’ira del Re di Francia, nella fattispecie Enrico IV, non tardava a farsi sentire, ma la linea difensiva savoiarda si stabilisce ormai in prossimità dello spartiacque, appunto presso il Piccolo San Bernardo, a proteggere i possedimenti cisalpini, lasciando la Savoia ad un successivo recupero. Distrutta ed impraticabile ormai la via romana da Pré Saint-Didier, si sceglie di fortificare la linea tra la Théraz ed il Colle della Croce che gli invasori devono affrontare in salita. Non sappiamo quale ruolo abbiano poi giocato, direttamente o come deterrente, queste prime fortificazioni, ma il Monferrato a pace conclusa viene comunque scorporato da Mantova e acquisito al ducato di Savoia.
- Ed ecco che intorno al 1640 i nostri trinceramenti tornano alla ribalta con il Principe Tommaso di Savoia-Carignano, in un momento particolarmente delicato per la storia di questa parte delle Alpi. Nel 1637 muore Vittorio Amedeo I lasciando erede il futuro Carlo Emanuele II dell’età di appena tre anni. La madre vedova, Cristina di Francia figlia di Enrico IV, sorella di Luigi XIII, assume la reggenza. I cognati Cardinale Maurizio e Tommaso, fratelli del duca defunto, terrorizzati all’idea di mollare a tempo indeterminato il ducato nelle mani di una francese, si alleano con la Spagna e scacciano la reggente da Torino nel 1639. I trinceramenti di Théraz dovevano servire a contrastare il rientro di Cristina o comunque ad opporsi alle truppe francesi, che poi comunque proteggeranno il ritorno della reggente a Torino tre anni dopo. Detto per inciso, la reggenza di Cristina come poi quella di sua nuora Maria Giovanna di Nemours, bersagliate da banalità sessiste da parte della storiografia ufficiale, corrispondono in realtà a periodi di formidabile evoluzione civile del ducato, con la fondazione di nuove attività economiche come officine meccaniche e militari, opere minerarie, opere urbanistiche, monti dei pegni, e con l’istituzione interclassista e meritocratica di scuole di alto livello, accademie militari, laboratori, centri di ricerca in un fervore “progressista” ante litteram che in ultima analisi consente la sopravvivenza dello staterello alpino fra i colossi nazionali d’Europa. Il tutto tra difficoltà politiche da far rizzare i capelli e affrontando problemi ambientali seri come l’inasprirsi della Piccola Età Glaciale.
- Molto meglio documentata è la vicenda dei trinceramenti tra il 1690 ed il 1704, in due cicli bellici aventi come protagonisti Luigi XIV per la Francia e Vittorio Amedeo II per lo Stato savoiardo. Il primo ciclo, a cura del governatore di Aosta, comportò la ricostruzione dei trinceramenti, ma al primo colpo di piccone già un’incursione francese interruppe i lavori e dilagò indisturbata fino in città (1691). Si trattava di una spedizione punitiva nei riguardi del ducato sabaudo, con l’unico obiettivo di distruggere derrate e villaggi e demoralizzare la popolazione valdostana. La quale però, a detta del comandante francese La Hoguette, era già di per sé in uno stato così miserevole che non gli era nemmeno riuscito di ottenere la taglia in denaro ma solo pochi sacchi di segale, oltre a qualche argenteria di chiesa. Ritiratisi i francesi, i lavori ai trinceramenti ripresero nel 1693, e comportarono anche la costruzione di una caserma identificabile con i ruderi che vedremo più avanti nel percorso. Le fonti sottolineano che venne impiegata manodopera locale, cosa che probabilmente non fu possibile al principe Tommaso negli anni immediatamente successivi alla grande peste del 1630. Nell’agosto del 1694 terminarono i lavori e le truppe, fino a 3000 uomini, si insediarono nei nuovi edifici. Questi ultimi, oltre alla caserma, annoveravano abitazioni per gli ufficiali, scuderie e magazzini. La maggior parte dei resti attuali risale a questa fase. Il secondo ciclo registra al 26 settembre 1704 il passaggio di un corpo d’armata francese al comando del generale De La Feuillade, quello che poi fu battuto all’assedio di Torino nel 1706. I trinceramenti della Théraz non lo impensierirono più di tanto.
- L’ultimo ciclo di attività dei Trinceramenti del Principe Tommaso viene registrato nell’ambito delle difese messe in opera dal regno sabaudo contro le armate napoleoniche alla fine del secolo XVIII. Al Colle del Piccolo San Bernardo, ma anche alla Théraz ed al Colle della Croce, si organizza la resistenza sotto la guida del duca del Monferrato; ma sappiamo che il grosso delle truppe rivoluzionarie passò altrove. Dopo la conquista francese si registrano solo successivi decreti di demolizione: dapprima si conservarono ancora la casaforte “di Fouillex” (cioè di Plan Praz?) e le opere al Colle della Croce, poi il generale Valette, comandante della seconda divisione dell’Armée des Alpes, ordina al Comune di La Thuile di demolire tutte le fortificazioni presenti sul suo territorio.
Il percorso dei trinceramenti non è lungo ma permette di identificare i vari elementi difensivi, dagli spalti ai bastioni, dal fossato alla pianta a stella secondo i dettami tattici secenteschi. Più obliterati dal tempo, i trinceramenti proseguono in piano oltre la strada regionale, ma noi invece risaliamo verso il Colle per qualche centinaio di metri. Sul primo rettifilo, a destra si stacca nel bosco una modestissima pista sterrata già un po’ inerbita, con le indicazioni per il percorso a ciaspole. La pista prende a salire ingentilita, in certi periodi, da una flora interessante, ad esempio una fitta presenza della piccola pyrolacea Moneses uniflora dai fiori bianchi assai profumati. Prima di uscire su di un ripiano, la pista costeggia alcuni inghiottitoi ben incisi in cui occhieggiano candidi squarci gessosi. Più ampi dirupi bianchi si intravedono fra i rami in alto, da dove cadono blocchi evaporitici fin sulla pista. Un vagabondaggio nel bosco farebbe scoprire vertiginose cavità imbutiformi nel ripido pendio, ma possiamo rimandarne l’osservazione a più avanti in un contesto meno acrobatico.
Risaliamo quindi con qualche tornante il tratto “sano” di bosco, in cui affiorano argilliti arenacee sempre più ricche di materiale carbonioso fino a sfaldarsi in lucide placchette nere. Dopo aver superato una sorgente captata, in circa un quarto d’ora giungiamo ad un gran ripiano artificialmente terrazzato e drenato, prolungato da un terrapieno meno ampio. Lo spazio centrale è occupato da un inverosimile accumulo di pietre, nel quale si evidenziano le parti basse di solide strutture murarie con porte e finestre strombate. La pianta comprende un lungo corpo centrale affiancato da due corpi laterali avanzati; varie tramezze sono ancora riconoscibili. Siamo fortemente tentati di identificare questi ruderi con la caserma ultimata nel 1694 sotto la direzione del governatore del ducato di Aosta De Marolles e dell’architetto Arnod, demolita un secolo dopo sotto l’occupazione napoleonica.
Costeggiato l’edificio, risaliamo pochi passi nel bosco per osservare l’inghiottitoio più impressionante del percorso, bianco di gesso e dirupato, profondo forse una ventina di metri. Un terrazzino vi è stato attrezzato con cartello esplicativo e una ringhiera in legno. Anche in seguito sul bel sentiero verso il Colle la successione degli inghiottitoi ci accompagnerà a tratti sia a sinistra che a destra; ne potremo esplorare la fitta trama tra un tronco e l’altro, ricercando le cavità più profonde e le prospettive più fiabesche o inquietanti. La chiave interpretativa di tale paesaggio si trova nella facile solubilità del substrato: fermo restando il suolo là dove protetto dagli alberi e trattenuto dalle loro radici, progressivamente ad ogni nevicata che poi penetra sotto allo straterello di humus avviene la dissoluzione del solfato di calcio (gesso, anidrite). Il suolo, coperto dagli aghi di abete e di larice, si assesta a livelli sempre più bassi colmando il vuoto lasciato dalla dissoluzione del gesso. Si formano così delle depressioni chiuse più o meno ampie, più o meno profonde, più o meno dirupate in funzione della distribuzione degli alberi e della esposizione o solubilità del substrato evaporitico. Tutte queste depressioni sono in contatto l’una con l’altra, separate da una crestina più o meno praticabile che va da un albero all’altro. Oltre una soglia critica poi anche l’albero cede, ridisegnando l’inghiottitoio. L’impressione è quella di un labirinto ora scherzosamente mosso come le montagne russe, ora decisamente pauroso nei suoi abissi bianchi.
Il percorso piano, relativamente lungo e riposante, conduce al piccolo complesso fortificato risalente all’ultimo conflitto mondiale, anch’esso distrutto per volontà dei vincitori come molti altri bunker della zona. Ci immettiamo quindi nel gran sentiero che dal Colle San Carlo porta al Lago d’Arpy e al Colle della Croce. Da questo bivio le opzioni sono molteplici: scendere (in macchina se si è provveduto a lasciarla) a Pétosan percorrendo la strada asfaltata; intraprendere l’escursione al Colle della Croce scendendo a Pian Praz e poi al parcheggio di Pétosan visitando così la quasi totalità delle fortificazioni sei-settecentesche (altra mezza giornata, 450 m di salita); oppure visitare il belvedere della Tête d’Arpy sul Monte Bianco, le antiche cave di Pietra di Morgex e gli altri bunker dell’ultima guerra prima di andare a rifocillarsi al ristorante Genzianella.
Per saperne di più
Baudin F., Prinetti F. (2001) – Il lago e le fortificazioni. In: 50 itinerari escursionistici nell’Espace Mont-Blanc, CDA Torino, 51-53.
Bovio M., Broglio M., Poggio L. (2008) – Guida alla flora della Valle d’Aosta. Blu Edizioni 335
Cuaz M. (1991) – La Valle d’Aosta e la sua storia. Cahier Rai 3 VdA, Arti Grafiche Duc, Aosta.
De Giusti F., Bonetto F., Dal Piaz G.V. (2002) – Carta geologica della Valle d’Aosta. Scala 1:100.000 con note illustrative. Regione Autonoma Valle d’Aosta.
Marchis V. (2002) – Ingegneri e soldati: l’Arsenale di Torino come baricentro di uno Stato tecnocratico. In: Storia di Torino. V. Dalla città razionale alla crisi dello Stato d’antico regime (1730 – 1798) a cura di G. Ricuperati. Einaudi XLVIII-1094
Symcox G. (2002) – La reggenza della seconda Madama Reale (1675-1684). In: Storia di Torino. IV. La città fra crisi e ripresa (1630-1730) a cura di G. Ricuperati. Einaudi XXXIX-1129
Zanotto A. (1993) – Storia della Valle d’Aosta. Musumeci, Aosta, 113-123