No, non cercate di raggiungere la Grotta del Ran. Cadono pietre, non c’è sentiero, e siamo nei divieti del Parco del Gran Paradiso. Fidatevi, ve la racconto io la grotta, e tutto quello che c’è attorno.
La storia inizia al villaggio di Rovenaud, residenza dei due fratelli Jocollé che, cercando pietre calcaree per fare la calce, nel 1895 scoprirono la grotta. Nonostante un recente incendio di racard, il grosso villaggio è ancora ricco di edifici pubblici e privati e costruzioni agricole del massimo interesse.
Sulla sponda opposta della Dora di Valsavarenche sorge l’antico opificio della Ressa (la sega, uno degli strumenti azionabili dall’acqua) divenuto Centro di Reintroduzione della Lontra, e nell’attiguo parcheggio (1450 m circa) possiamo fermarci iniziando la visita virtuale. L’immagine elaborata a partire dalla foto del versante sarà la nostra guida.
Appena a valle dell’opificio un conoide scende dalla montagna regolarizzato da lavori di bonifica. Al suo apice iniziano le prime balze rocciose, che qualificheremo come calcescisti derivati da sedimenti dell’antico oceano alpino. Qui, sulla sponda sinistra idrografica del torrentello presso i ruderi di Perrière, doveva trovarsi la fornace da calce dei fratelli Jocollé.
L’erbetta cresce fra un calcescisto e l’altro sul ripidissimo pendio, che termina in alto con una piccola cengia. Al di sopra, inaccessibile si alza la parete fratturata degli gneiss minuti, roccia continentale non calcarea. In un tratto della cengia lungo diversi metri, alla base della parete affiora un livello di roccia chiara e ben stratificata, a reazione calcarea, forse messo a nudo artificialmente.
La stratificazione non è un fatto sedimentario ma è il risultato dello scorrimento al contatto fra le due unità oceanica (sotto) e continentale (sopra). Risulta ben presto evidente che il livello di scorrimento (roccia chiara), più facilmente erodibile, è responsabile della rottura di pendenza costituita dalla cengetta e poi anche della insellatura del torrentello che permette di attraversarlo verso sinistra (sud).
Sempre seguendo idealmente il nostro livello di roccia chiara, e risalendo dunque verso sud, in mezzo ad un modesto impluvio si individua l’entrata della grotta (1720 m).
L’apertura, alta poco più di un metro e larga tre, è stata praticata a colpi di piccone appunto entro il livello di rocce chiare.
La cavità nel 1993 è stata oggetto di studio da parte del Gruppo Speleologico del CAI di Biella che ne ha descritto e rilevato la planimetria e la sezione, facendo altresì qualche osservazione litologica e raccogliendo la documentazione scientifica fin’allora prodotta (Abbé Vescoz e Federico Sacco).
All’interno la grotta penetra perpendicolarmente nella montagna ampliandosi in successivi locali elegantemente innestati l’uno nell’altro. Verso il fondo sale leggermente di livello rendendosi stretta e tortuosa, ma prosegue comunque un po’ oltre il punto in cui ci fermiamo noi inesperti.
Sulle pareti la roccia è completamente ricoperta da patine viscide un po’ argillose e da concrezioni che ne rivelano la composizione largamente calcarea.
Con un po’ di attenzione si scoprono alcune basi spezzate di stalattiti e stalagmiti, mentre sussistono basse concrezioni tondeggianti spalmate sulle superfici esposte a stillicidio. Nonostante dunque il viscidume che impedisce di sedersi ad ammirare, la grotta è bella, ampia e piacevolmente movimentata da quinte rocciose per oltre cento metri.
La roccia che sciogliendosi nell’acqua percolante ha permesso questo fenomeno carsico è un antico sedimento di margine continentale, depositatosi a poca profondità e periodicamente emerso in vaste lagune, dove a tratti pullulava la vita delle barriere coralline. A partire da un centinaio di milioni di anni fa tutto (oceano, margine e continente) fu inghiottito nelle viscere della Terra e ricoperto da un’intera placca continentale di opposta convergenza. Ora questa serie calcarea di margine continentale affiora sulle montagne di Cogne e Valsavarenche come un sottile livello di roccia chiara, a volte ripiegato e quindi ripetuto, percorrendo i versanti da una parte all’altra e riprendendo aldilà della valle, in particolare verso Rhêmes. La sua natura di roccia “spalmabile” (incompetente per gli addetti ai lavori) ne fa un livello di scorrimento su cui vengono trasposti per chilometri i corpi rocciosi sovrastanti, nella fattispecie il Corpo gneissico della Valsavarenche che forma la sommità del massiccio della Bioula.
Probabilmente l’impluvio in cui si apre la grotta corrisponde ad una piccola faglia che incanalava dall’alto un consistente apporto di acqua meteorica (subglaciale?) fino ad intercettare il livello calcareo, dove l’acqua procedeva poi in orizzontale per dissoluzione, scavando la grotta. Dalla scoperta ad oggi invece la grotta tende ad essere colmata da crolli e depositi concrezionali.
Quasi tutti i visitatori, nei loro resoconti, recriminano le spoliazioni di cui la grotta è stata vittima fin da subito dopo la sua scoperta. Non è un’assoluzione per tali atti vandalici, ma molte forme concrezionali della Borna de Ran sono in qualche modo tuttora visibili. Per osservarle in tutta calma basta entrare al cimitero di Villeneuve, accanto alla chiesa di Santa Maria, dove ben cinque tombe sono riccamente adorne di concrezioni carsiche di inequivocabile provenienza. Appartengono a famiglie originarie della Valsavarenche e, secondo abitudini secolari, svernanti a fondovalle. Altre due tombe artisticamente ornate di tali prodotti si trovano al cimitero di Degioz (Valsavarenche). Non sarà mai come vedere le stalattiti al naturale, ma è meglio che niente…
Ringraziamenti
I principali dati planimetrici, come ricordato nel testo, mi sono stati forniti dal Gruppo Speleologico Biellese del CAI, per il quale ringrazio in particolare Renato Sella e Denise Trombin.
Preziose informazioni mi sono giunte da Pierino Jocollé, già Sindaco di Valsavarenche.
Ancora una volta ringrazio Faustino Impérial, senza il quale non avrei mai raggiunto la grotta, per avermi messo a disposizione la sua perspicacia nella indagine e interpretazione del patrimonio territoriale.
Bibliografia
Vescoz P.-L. (1910) – Une grotte de 115 mètres à Valsavarenche. In Bulletin de la Société de la Flore Valdôtaine 6, 23-24. http://www.sfv.it/public/uploads/Revue/1910%2006_web.pdf
Sacco F. (1928) – Caverne delle Alpi Piemontesi. In Le grotte d’Italia, Luglio-Settembre, pag. 4-5.
Gruppo Speleologico Biellese CAI (1993) – Scheda catastale Borna du Ran AO-2003. In Orso Speleo Biellese, suppl. di Brich e bocc XVII-2, 34-36.
Articolo interessante!
Grazie Francesco.
Claudia
Come sempre, descrizione impeccabile.
Complimenti
Articolo molto bello ed interessante.
Mi piacerebbe visitare quella grotta che non conosco…
Enea Fiorentini
Très intéressant, Claudine R