Anche se forse non ce ne rendiamo conto, la Geologia è una componente della Storia lungo tutta l’evoluzione dell’umanità. Mari, monti, fiumi e pianure sono oggetti geologici con cui l’umanità, da quando esiste, non smette un attimo di interagire. A maggior ragione la Geologia è protagonista nella Storia dei paesi alpini, là dove l’uomo elabora la sua civiltà in funzione dell’energia accumulata nelle montagne attraverso processi geologici.
Ma ci sono momenti e situazioni particolari in cui le comunità umane fanno espresso e deliberato ricorso a determinate risorse o strutture geologiche. Senza pretese di completezza, vediamo dunque nel caso concreto di una grande valle alpina, la Valle d’Aosta, come e quando la Storia e la Geologia possano essersi incontrate. Iniziamo naturalmente dalla Preistoria, e nei prossimi articoli ci occuperemo dei periodi più vicini a noi.
Gli antefatti
Senza risalire troppo in là nel profondo dei tempi geologici, tre sono gli eventi rilevanti per la storia valdostana che si svolgono in gran parte prima che l’uomo appaia sulla Terra.
Il primo evento è evidentemente la surrezione della catena alpina che, se le ultime datazioni sono corrette, si è compiuta per l’essenziale, nelle forme che vediamo ora, da circa 38 milioni di anni fa ad oggi. In particolare il sollevamento del Monte Bianco potrebbe avere avuto la sua massima accelerazione poco prima dell’apparizione dell’uomo. La surrezione si manifesta essenzialmente come un’increspatura di onde da trasporto tettonico e pieghe di compressione con assi diretti NE-SW, paralleli all’andamento dell’arco alpino, riconoscibili ancora come valli e creste soprattutto nella parte occidentale della regione. Tutto fa pensare, infatti, che la compressione, e quindi l’innalzamento della catena, siano via via più recenti procedendo da est verso ovest della regione.
Il secondo evento morfologico fondamentale è l’attività del sistema di faglia Aosta-Joux-Ranzola lungo l’attuale media valle della Dora. Si tratta di una estesa dislocazione di parte della catena alpina lungo una direttrice est-ovest, quindi sbieca rispetto all’andamento NE-SW dell’arco alpino stesso. Lo sprofondamento del settore a nord della Dora crea un solco E-W che attira le acque da entrambi i versanti producendo una lunga valle intramontana con confluenze meridiane. L’accidente sembra possa situarsi in concomitanza con importanti eventi profondi (collisione delle placche, rottura del piano di immersione) a partire da 38 milioni di anni fa.
In tempi più recenti, il terzo evento fondamentale è la riattivazione in superficie, con fratture e dislocazioni, delle strutture profonde ad andamento NE-SW ereditate dalla compressione alpina. Le nuove linee di movimento, attive nella parte orientale della regione, tagliano la precedente faglia E-W, ormai praticamente inattiva, con effetti rilevanti sulla geografia di questa parte delle Alpi. È infatti grazie a questa intersezione che a Saint-Vincent la Dora riesce ad uscire dal solco E-W della faglia e dirigersi a sud verso la pianura. Invece ad occidente, nell’alta valle, prevalgono piccoli sistemi di faglie a diverso orientamento che non cancellano nel paesaggio la forte impronta strutturale ad assi NE-SW della compressione alpina.
Nel corso della preistoria e della storia valdostane questi eventi più volte avranno un ruolo importante, e verranno di volta in volta evocati sotto l’angolatura più opportuna.
Preistoria lontana (Pleistocene superiore)
Sussistono pochi dubbi che gruppi appartenenti al genere Homo abbiano soggiornato in ambiente alpino fra 800’000 e 10’000 anni fa, poiché impronte umane dell’epoca più lontana sono state trovate fino in Inghilterra. Come ormai riconosciuto autorevolmente (e. g. Fedele 2015) le pendici montane hanno rappresentato per millenni, soprattutto in periodi interglaciali, un ambiente ben più accogliente che non la nebbiosa, paludosa e intricata foresta padana. In questo enorme lasso di tempo, l’uomo ha approfondito una branca della geologia: ha in qualche modo accumulato una conoscenza minuziosa ed operativa della pietra, o meglio delle diverse pietre, individuate come strumento che lo metteva al disopra dei predatori concorrenti. Tale conoscenza verrà poi ristretta agli specialisti con l’avvento dei metalli, delle città e della divisione sociale del lavoro.
Per l’area alpina nordoccidentale, sussistono per ora rari reperti archeologici riferibili al Paleolitico superiore (Monfenera in bassa Valsesia, Alto Biellese, Vallese svizzero).
Il dato geologico per quel periodo sulle Alpi è la presenza documentata di glaciazioni, separate da lunghi periodi interglaciali caldi. Le glaciazioni pleistoceniche si impostano su un territorio definito da strutture profonde (onde di trasporto tettonico, pieghe di compressione, contatti fra corpi rocciosi diversi, fasce di debolezza meccanica per dislocazioni rigide) ma già disegnato dal reticolo di fiumi e torrenti. Le glaciazioni sono fra gli agenti esogeni più efficienti nell’ottimizzare un bacino idrografico: i massicci in surrezione catturano le precipitazioni nevose e si coprono di calotte bianche, poi le grandi colate di ghiaccio individuano i migliori collegamenti fra strutture per raggiungere la pianura. Attraverso i grandi ghiacciai del passato, la geologia incontra, se non la storia, sicuramente la geografia.
Preistoria vicina (Olocene)
A partire dalla deglaciazione (circa 15-10’000 anni fa) abbiamo più abbondanti testimonianze di attività umana nelle Alpi.
In Valle d’Aosta, al neolitico (circa 5000-3250 a.C.) sono riferite sepolture in tombe a cista, cioè con il corpo raggomitolato e “inscatolato” fra lastre di pietra sepolte: i luoghi tipici sono Vollein (Quart), Champrotard (Villeneuve) e Fiusey (Montjovet), ma forse anche il Colle di Saint-Rémy e altrove. Questi reperti di ambiente funerario sono la testimonianza più visibile del neolitico valdostano, e si conformano ad una tipologia caratteristica delle Alpi nord-occidentali. A Vollein poi Geologia ed Archeologia si incontrano in un formidabile Geosito che sarà oggetto di un articolo a parte.
Alla base del Mont Fallère (2240 m), sono state trovate schegge di quarzo attribuite al Mesolitico (grosso modo dal 7000 a.C.), mentre i sedimenti nella torbiera sovrastante, fino all’Età del Rame, non attestano che incendi occasionali forse in relazione ad accampamenti di caccia. Invece alla torbiera della Mongiovetta (Issime, 1970 m) sono stati trovati abbondanti pollini di segale nel livello corrispondente al 4000 a.C., attestanti colture, probabilmente a quote inferiori (E. Brugiapaglia, com. pers.).
Le ricerche sono ancora allo stadio iniziale, ma nel Vallese ed in Savoia hanno comunque fornito importanti ritrovamenti di insediamenti e necropoli che, guarda caso, ammiccano al versante padano, e quindi alla Valle d’Aosta, per stili e culture.
Di questo primo periodo dell’Olocene due sono le peculiarità geologiche significative per la storia della Valle d’Aosta (e non solo).
- La presenza nella regione di roccia eclogitica ricercata in particolare per fare asce, sia rituali che utilitarie. Si tratta dello strumento fondamentale per la vita neolitica di tutti i giorni. L’eclogite permette, oltre al mantenimento di un filo tagliente, anche un migliore bilanciamento dell’attrezzo grazie alla massima densità del materiale, che sposta il peso dal manico verso il punto di lavoro. Per quel che riguarda la giadeitite, particolare roccia eclogitica alpina di cui si sono trovate magnifiche asce rituali in tutta Europa, la Valle d’Aosta e le valli confinanti ne offrono di ottima qualità, ma non sono stati trovati (né forse abbastanza cercati) laboratori di fabbricazione. Un laboratorio sembra sia stato trovato in Valle Po ai piedi del Monviso, nell’ambito dunque delle rocce di origine oceanica.
- D’importanza più locale, la presenza del grande Lago della Mongiovetta, prodotto dallo sbarramento della Dora alle Gole di Montjovet a causa di una frana dal valloncello di Rodoz. Il pelo dell’acqua alla formazione stava forse sui 512 m s.l.m. per cui il lago si allungava fin presso Aosta, non lontano dall’attuale Saint-Martin-de-Corléans. Le sue sponde dovevano essere scoscese per lunghi tratti, ma, come per molti laghi vallivi, poteva rappresentare un habitat favorevole. La sua durata può essere valutata in alcuni secoli, e al fiorire della civiltà megalitica il lago poteva essere già sparito (o no?). Restano ancora adesso poderosi fondali e terrazze sabbiose, alcune nella forma tipica dei sablon, coni detritici subacquei allo sbocco di valli e impluvi. Nessuna ricerca sistematica è stata ancora tentata sulle sue antiche sponde né sui suoi fondali residui.
L’Età del Rame (circa dal 3250 a.C.)
Con l’avvento della civiltà megalitica, circa 5000 anni fa in Valle d’Aosta (ma forse 75’000 anni fa in Sudafrica…), non possiamo più far finta di non vedere le tracce dei nostri antenati. Le stele antropomorfe di Aosta e Sion, erette e poi abbattute e reimpiegate in tombe dell’Età del Bronzo, sono utilizzate nel corso di un periodo, tra fine IV e III millennio a.C., di sviluppo molto vivace del territorio alpino, detto in vari modi Neolitico Finale, Eneolitico, Calcolitico o Età del Rame. Il disinvolto maneggio di giganteschi blocchi di roccia, più o meno intensamente scolpiti o incisi, sviluppa un savoir faire e, oserei dire, un gusto per le opere ciclopiche che è forse quello che ritroviamo qua e là nei boschi e sulle costiere rocciose, dove ancora adesso alcuni enormi massi sono sollevati in equilibrio su piccoli sassi o muretti.
I ritrovamenti di questo periodo si estendono in quota dove si affiancano indizi archeologici e paleobotanici di deforestazione e pastorizia. Infatti a 2350 m sotto il Mont Fallère la torbiera già citata attesta in rapida successione resti di incendi, drastica riduzione di pollini di conifere (pino cembro) e improvvisa abbondanza di erba dei pascoli con vegetazione nitrofila e coprofila.
Paradossalmente, i siti dell’Età del Rame segnalati finora non indirizzano verso la risorsa geologica locale che sarà sfruttata nel Regno di Sardegna del XVIII-XIX secolo: appunto il rame. Rari e insignificanti i ritrovamenti metallici, ci dobbiamo indirizzare verso ceramiche e incisioni rupestri per datazioni e collegamenti stilistici.
Lo specchio di faglia (Fascio dell’Ospizio Sottile) presso l’entrata del castello di Chenal (Montjovet) espone incisioni a spirale e cerchi concentrici, riecheggiate in forme inconsuete (doppie parabole, fitti tratteggi) sul dosso glaciale del Mont des Fourches (Saint-Vincent). Il Vallese offre in quota tre ripari sotto roccia ricchi di materiale archeologico: è di questo periodo infatti, come documenta l’Uomo di Similaun, l’appropriazione ecologica di tutte le fasce altimetriche della catena alpina da parte di comunità umane.
La successiva Età del Bronzo in Valle d’Aosta è poco documentata, essendo principalmente attestata da reperti non contestualizzati oltre che da un paio di incisioni rupestri sfortunate per manomissioni (la Barma di Valtournenche) o dubbie per parametri tecnici (il Riparo Nord di Chenal). Si procede in genere per analogia con il Vallese e, in parte, il vicino Canavese.
Dal Bronzo Finale (1200 a.C.) alla conquista romana
Tra il Bronzo Finale e l’Età del Ferro si cominciano a trovare più concrete tracce di insediamenti, soprattutto ad una certa quota, tra cui il celebre Castelliere di Lignan (Nus) posto su un poggio di quarzite mineralizzata a manganese. Di quest’epoca pare essere anche il tumulo di Chassan (Emarèse) al cui interno sarebbe stata trovata una pepita d’oro, esposta al Museo Archeologico Regionale di Aosta. Tutto fa presumere che le miniere valdostane di oro, rame e ferro fossero al centro dell’attenzione dei vari popoli rodaniani e padani, ma per ora nessun ritrovamento lo prova.
Alla seconda metà del primo millennio a.C. si fanno risalire molti dei ruderi che ci sorprendono nelle nostre escursioni: muraglie massicce più o meno chiuse (“oppidum”) come a Djancan (Saint-Vincent) o Ciseran (Montjovet), tumuli inesplorati come quello de La Tour a Châtillon, passaggi lastricati o solcati, cerchi di muri in pietra a secco. Numerose sono nei musei le monete romane e galliche, numerosi sono i braccialetti in bronzo, in genere provenienti da tombe distrutte. Dal 400 a. C. datano le sorprendenti scorie di fusione metallurgica su cui sorge l’intero villaggio di Miseregne presso Fénis. Le scoperte si fanno più frequenti in questi ultimi tempi: dal tumulo celtico presso il cantiere dell’ospedale ad Aosta, fino ai villaggi di alta quota sparsi nella media ed alta valle, che attestano un popolo in fuga disperata.
Il millennio che si conclude con la pax romana si delinea con maggiore attendibilità e, naturalmente, con sempre più numerosi interrogativi.
Bibliografia citata
Fedele F. (2015) – Preistoria della bassa Valle d’Aosta: per una storia del popolamento. Bulletin d’Etudes Préhistoriques et Archéologiques alpines 25/26 : 9-62
Compagnoni R., Ricq-de-Bouard M., Giustetto R., Colombo F. (1995) – Eclogite and Na-pyroxenite stone axes of southwestern Europe: a preliminary petrologic survey. Bollettino del Museo Regionale di Scienze Naturali, Torino, Supplemento al vol. 13/2 : 329-359.
Pini R., Guerreschi A., Di Maio P., Raiteri L., Ravazzi C. (2013) – Preistoria degli ambienti d’alta quota in Valle d’Aosta. Primi risultati di indagini paleobotaniche e archeologiche sull’altopiano del Mont Fallère. Bulletin d’Etudes Préhistoriques et Archéologiques alpines 24 : 53-61.
Vedere anche: http://www.regione.vda.it/gestione/riviweb/templates/aspx/environnement.aspx?pkArt=1587