Introduzione
La superficie del pianeta Terra è fatta di placche rigide e “fredde” galleggianti sopra uno spesso strato di roccia calda, solida ma deformabile sul lungo periodo. Questa roccia profonda è agitata da flussi convettivi che portano ciclicamente verso l’alto (verso la superficie, dove si raffreddano) le masse più calde e verso il basso (verso il centro della Terra, dove si riscaldano) le masse meno calde. Questi movimenti, simili a quelli che si verificano in qualsiasi pentola al fuoco, mettono in moto anche le placche rigide galleggianti in superficie. Il rilievo del nostro territorio, mari e montagne, fiumi e pianure, e anche la sua vita biologica derivano dalle rotazioni, dagli scontri e dagli allontanamenti di queste placche. Tutte queste evoluzioni avvengono sotto i nostri occhi con ritmi estremamente lenti per l’uomo, che non se ne è mai accorto fino a pochi decenni or sono. D’altronde l’uomo ha assistito solo ad una parte minima di questa evoluzione, perché vive sulla Terra solo da pochi milioni di anni. Invece la maggior parte dei fenomeni geologici che vediamo in atto sulle Alpi continua da molte decine di milioni di anni. La scoperta di un tempo geologico di decine di milioni di anni, lungo il quale avvengono cose importanti per l’umanità, è un avvenimento culturale e filosofico di grande portata ma non ancora ben assimilato nella nostra civiltà. Infatti la nostra società si concentra sempre più sul breve termine, e si mostra incapace di un ragionamento che vada oltre le prossime elezioni. Proporre una visione diversa del mondo, serenamente distesa nel tempo e non basata sull’urgenza imprevidente, è uno dei compiti culturali della nostra scienza.
Due o tre idee generali che bisogna sapere
Le placche rigide della superficie terrestre sono dette nel loro insieme litosfera (quindi placche litosferiche) e comprendono una parte superiore detta crosta ed una parte inferiore detta mantello litosferico. Esse galleggiano sopra il mantello astenosferico che invece è semifuso e duttile sui tempi lunghi.
Le placche sono di due tipi: oceaniche e continentali
Quelle oceaniche, più sottili, si possono considerare come “mantello nudo”: il mantello litosferico affiora quasi in superficie sotto l’acqua dell’oceano, solo coperto da colate magmatiche dovute alla liquefazione dei componenti più fusibili del mantello stesso, e da sedimenti di mare aperto. La composizione mineralogica della placca oceanica è largamente determinata dal mantello e dai suoi derivati: silicati ad alto contenuto di ferro e magnesio (fino al 40%) e basso contenuto in silice (generalmente sotto il 55%). Si tratta per lo più di rocce scure e pesanti.
Quelle continentali invece sopra al mantello litosferico portano qualche decina di km di roccia varia, con diffusa prevalenza di minerali ad alto contenuto in silice (circa 70%). Si tratta in genere di rocce chiare e relativamente leggere.
Come conseguenza di questa loro composizione, le placche oceaniche sono più dense di quelle continentali.
Spinte dalle correnti convettive, le placche si muovono l’una rispetto all’altra.
Se si allontanano, fra loro si interpone nuova litosfera oceanica lungo la linea di divergenza, chiamata dorsale oceanica.
Se si avvicinano, la litosfera oceanica interposta s’inabissa e viene assorbita nel mantello astenosferico. In questo modo la superficie complessiva delle placche (la superficie terrestre) non varia mai. Se convergono due placche continentali, generalmente avviene presto una sutura e le due placche divengono solidali.
Vademecum per il curioso delle Alpi
Come tutte le catene di montagne, le Alpi sono il prodotto della convergenza e quindi della sovrapposizione, in varie fasi, di due placche litosferiche; il rilievo è appunto dato dall’ispessimento crostale che ne deriva. Infatti, se la litosfera “galleggia” sul restante mantello astenosferico più duttile, ad un maggiore “pescaggio” in profondità corrisponde una maggiore elevazione in superficie. La sovrapposizione di due placche è il modo normale in cui si rigenera la litosfera terrestre, che nasce continuamente in mezzo agli oceani lungo le dorsali vulcaniche (dove si apre e si divarica una placca oceanica), e muore appunto in subduzione sotto un’altra placca litosferica più leggera, immergendosi nel mantello. L’arco della catena alpina è la manifestazione superficiale della subduzione, su un fronte di migliaia di chilometri, della placca europea sotto la placca africana o le sue adiacenze. Le vicende e le modalità di questa orogenesi sono registrate sulle rocce affioranti nella catena, nei suoi dintorni e, per quanto riusciamo ad indagarle, sulle rocce sepolte in profondità. Per “leggere” queste registrazioni sulle rocce, si analizza la loro composizione chimica e mineralogica, la loro struttura (scistosità, pieghe, faglie…) alle varie scale di grandezza, vi si misurano alcuni parametri fisico-chimici (ad esempio la velocità di propagazione delle onde sismiche, o i rapporti isotopici di alcuni elementi per le datazioni radiometriche) e si osserva l’eventuale presenza di tracce fossili. Tuttavia si fa anche proficuamente ricorso a ricerche multidisciplinari in cui rientrano ad esempio climatologia, glaciologia, geodesia, cartografia 3D, come è naturale per ogni studio territoriale.
Gli studi condotti finora sulle Alpi hanno portato a stabilire un quadro d’insieme abbastanza preciso, ancorché non definitivo quanto all’interpretazione globale dei dati. Vi si sono distinti per natura e ruolo diversi oggetti geologici, che nelle loro relazioni reciproche suggeriscono uno o più scenari atti a descrivere l’evoluzione passata, presente e, in parte, futura delle Alpi.
- Ai due lati della catena si stendono vari bacini sedimentari che accolgono una piccola parte del materiale eroso dai rilievi. Per vari motivi, quasi solo il periodo più recente (Pliocene) dell’erosione vi è conservato.
- Sul bordo interno (est e sud) dell’arco alpino affiora, leggermente o moderatamente deformato dalla convergenza, l’antico margine della placca adriatica (“africana”). In una regione limitata, la Zona Ivrea-Verbano, tale margine è rovesciato fino ad esporre in superficie la crosta profonda e scaglie del mantello litosferico.
- Una linea strutturale, talora ben visibile nella morfologia del rilievo (un tratto della Valsesia, Valtellina, val Pusteria…), separa questa unità dal resto della catena: si tratta del Lineamento Periadriatico.
- La fascia assiale che occupa longitudinalmente il centro della catena ospita varie falde di basamento prive di radici, le cui rocce sono tutte metamorfiche, cioè riequilibrate nei loro minerali alle condizioni di alta pressione / bassa temperatura tipiche della subduzione litosferica. Nel settore nord-occidentale incontriamo in successione da SE a NW e, strutturalmente, dall’alto al basso:
- una falda continentale (antico basamento con metagabbri e metagraniti, antiche coperture sedimentarie con micascisti e marmi) a metamorfismo di massima profondità crostale (micascisti eclogitici e gneiss minuti); lembi e falde di tale natura sono disseminati anche più all’esterno della catena in posizione strutturalmente elevata; vi trovano posto anche lembi privi di metamorfismo alpino, identici alla Zona Ivrea-Verbano (punto 2);
- una falda oceanica comprendente: a) un’enorme scaglia di mantello litosferico serpentinizzato con limitati livelli crostali a metamorfismo eclogitico (massima profondità) le cui rocce sono poi in parte retrocesse a condizioni di crosta “normale” (Zermatt-Saas); b) una zona non eclogitica a prevalenti metasedimenti (Combin);
- varie falde di basamento continentale a metamorfismo eclogitico relitto, con una parte delle loro coperture originarie più o meno scollate;
- una serie detritica (flysch) con elementi delle serie precedenti.
- Una linea strutturale, anch’essa morfologicamente riconoscibile nel paesaggio, segna il sovrascorrimento di queste unità metamorfiche sulle formazioni esterne: il Fronte Pennidico.
- L’esterno dell’arco alpino (nord e ovest) comprende falde sia di basamento (Monte Bianco, Aiguilles Rouges…) che di copertura, molto deformate e sollevate ma non metamorfiche; la deformazione è via via più recente, fino al rilievo del Giura, innalzatosi non più di 5 milioni di anni fa.
L’insieme di questi dati è illustrato nell’immagine delle Alpi da satellite e nello schema strutturale dell’arco alpino.
Legenda. |
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Dati questi elementi, e dalle datazioni connesse, la ricerca attuale ricostruisce, da NW a SE, una possibile sezione interpretativa dell’arco alpino nord-occidentale. Vi sono illustrati:
- la litosfera europea (a sinistra, NW) che sostiene ancora le falde da essa derivate fino all’altezza del Fronte Pennidico; essa s’immerge sotto la placca adriatica, pur con una risalita nella fascia assiale di alcune parti già impegnate nella subduzione;
- la fascia assiale a metamorfismo di subduzione, tra il Fronte Pennidico e la Linea Periadriatica; vi sono distinte le unità oceaniche (blu scuro) da quelle continentali (azzurre);
- la litosfera adriatica, in posizione superiore, a destra coperta dai depositi recenti della pianura padana.
Questa interpretazione prevede che “inizialmente” (giurassico, oltre 150 milioni di anni fa) la placca europea fosse dotata al suo bordo meridionale di una spianata oceanica (la Tetide alpina) che progressivamente venne consumata per subduzione sotto la placca adriatica nel corso di un processo di convergenza fra le due placche. Si deve anche supporre che la subduzione continuasse in qualche modo anche dopo la consunzione della parte oceanica della placca, coinvolgendo così la parte continentale: in questo modo si spiega la presenza di rocce a metamorfismo eclogitico (cioè dovuto a subduzione) fra le falde continentali della fascia assiale.
La subduzione continentale si sarebbe interrotta fra 45 e 38 milioni di anni fa innescando la rottura della placca europea in subduzione e il distacco della sua parte già immersa nel mantello (slab). È possibile che in quel momento le rocce continentali rimaste attaccate alla placca, bloccate in profondità, si trovassero in disequilibrio, perché meno dense delle rocce circostanti, e quindi tendessero a risalire verso la superficie, trascinando con sé anche brandelli di rocce oceaniche. Altri modelli sono comunque proposti per la risalita delle falde già eclogitiche in corso di subduzione.
L’avvicinamento alla superficie (esumazione, che avviene sia per sollevamento che per erosione) implica raffreddamento della roccia e diminuzione della pressione, dunque rigidità totale della roccia, pur esposta ancora alle tensioni originate in profondità. La conseguenza è una diffusa deformazione fragile che spacca i corpi rocciosi lungo le linee di sforzo. Questa è la base del rilievo geografico della regione alpina. Sul reticolo delle faglie (così si chiamano le grandi fratture con dislocazione ai due lati) ruotano e oscillano blocchi crostali, corrono fiumi e ghiacciai, si impostano valli, colli e laghi, crollano le frane.
Il paesaggio, sia fisico che antropico, è lo specchio di queste deformazioni, sia duttili (profonde) che fragili (superficiali), e riconoscere un paesaggio nella sua interezza significa leggere tanti messaggi inviatici in tempi geologici, da decine di milioni di anni fa ad oggi.