Ma di che oceano si tratta?
Sempre più, nel corso di eventi scientifico-culturali o di gite a tema naturalistico, viene evocato l’antico Oceano giurassico (circa 150 milioni di anni fa) come inizio della storia delle Alpi (figura 1). Naturalmente si parla di rocce, quindi s’intende il fondo roccioso dell’oceano.
Viene dunque naturale guardarsi intorno per cercare di riconoscere questo famoso Oceano durante le nostre passeggiate alpine. Ma com’è fatto, ora come allora, il fondo di un oceano?
Il fondo dell’oceano è stato esplorato a partire dagli anni ’70 del secolo scorso. Si è scoperto che, dal punto di vista geodinamico, i fondi oceanici sono la parte più attiva della superficie terrestre, che si rinnova continuamente, tanto che nessun oceano è più vecchio di 150-200 milioni di anni, mentre sui continenti troviamo rocce di oltre 3 miliardi di anni fa. I maggiori oceani terrestri sono attraversati da una lunga striscia vulcanica (figura 2) lungo la quale le due parti del fondo si allontanano, man mano che viene eruttata della lava basaltica nelle fessure che vi si aprono. Inversamente, ai bordi esterni la placca oceanica tende a consumarsi sprofondando nel mantello terrestre, dove viene lentamente riciclata.
Tutta questa attività rende il fondo oceanico relativamente standardizzato in ogni tempo e luogo, per cui si può ricostruire una struttura tipica del fondo oceanico (figura 3) e riconoscerla (intera o parziale) ovunque si trovi, anche fuori del suo contesto.
- La struttura standard del fondo oceanico comprende dunque alla base un mantello litosferico di peridotite, la roccia tipica del mantello terrestre che molto di rado troviamo in superficie. Verso l’alto la peridotite viene raggiunta dalla rete di circolazione dell’acqua marina sovrastante, scaldata dalla roccia vulcanica: inesorabilmente avvengono processi di fratturazione idraulica, idratazione e alterazione idrotermale, che trasformano la peridotite in serpentinite.
- Con maggiore o minore abbondanza questo livello basale è ricoperto dalle effusioni di magma basaltico, che sott’acqua prendono la forma di cuscini di lava (pillow) somiglianti forse ancor più a grandi schizzi di dentifricio spremuto dal tubetto. Così vengono inequivocabilmente riconosciute le rocce vulcaniche nate sul fondo dell’oceano. Invece il magma che non raggiunge la superficie sottomarina solidifica nella crosta sotto forma di gabbro, roccia a grandi cristalli scuri di pirosseno.
- Infine su tutto cade una pioggia di sedimenti di mare aperto, in genere fangosi ma con quantità di calcare variabili a seconda della profondità e della temperatura dell’acqua.
Dunque, dal basso verso l’alto, serpentinite, gabbri, basalti a cuscino e sedimenti fangoso-calcarei formano la serie di rocce tipiche della placca oceanica.
Come riconoscere l’oceano nelle Alpi
Ora, che cosa possiamo trovare di questa serie nelle nostre montagne, per poter dire che stiamo camminando sull’antico fondo dell’oceano alpino?
Tutto e niente allo stesso tempo. Tutto, perché effettivamente in una bella fascia all’interno della catena alpina occidentale affiora un complesso di rocce riconducibili ai vari livelli della placca oceanica (figura 4). Niente, perché nessuna di quelle rocce è più nello stato in cui si è formata sul fondo oceanico. Infatti nel tempo trascorso fra la creazione della placca oceanica e l’affioramento attuale, la massa rocciosa è stata per un certo periodo schiacciata da un peso enorme, corrispondente in alcuni punti a oltre 100 chilometri di altra roccia sovrastante. Forse tutta la storia delle Alpi, tutto il segreto dell’altezza delle sue montagne sta in questo sprofondamento e in questa repentina risalita delle masse rocciose negli ultimi 70 milioni di anni (figura 5). Le famose “pietre verdi” traggono la loro origine proprio da questa vicenda. Dunque, andando per i monti alla ricerca delle nostre radici oceaniche, dobbiamo fare i conti con le trasformazioni della roccia e dei suoi minerali dovute alle grandi variazioni di pressione e temperatura a cui sono poi andate incontro.
- Le serpentiniti affiorano largamente sulle nostre montagne, e le vicende successive non le hanno deformate più di tanto. Per quanto, a rigor di termini, le serpentiniti non siano esclusive del fondo oceanico, la loro diffusa presenza in associazione con gli altri elementi tipici della placca oceanica garantisce la loro origine dall’oceano alpino. Per trovarle consigliamo il Parco del Mont Avic, le Gole di Montjovet (figura 6), o la fascia ai piedi del Monte Rosa fra Gressoney e Valtournenche.
- I cuscini di lava nelle Alpi Occidentali sono assai più rari e meno ben preservati: con minerali totalmente diversi da quelli basaltici originari, si possono osservare rocce vagamente a forma di cuscino a monte e a valle della miniera di Servette (Saint-Marcel) oppure sul sentiero che da Buisson (Antey) porta a Chamois. Più fedeli all’originale i pillows del Breuil (La Thuile, figura 7), ma probabilmente non appartengono al vero oceano ligure-piemontese. Molto meglio preservati, sempre nelle Alpi Occidentali, sono gli spettacolari accumuli dello Chenaillet al Monginevro (figura 8). Più in generale, le vecchie rocce magmatiche del fondo oceanico (gabbri e basalti) affiorano ora come metabasiti, cioè rocce metamorfiche povere in silice e ricche in ferro e magnesio. I minerali che raccolgono il ferro ed il magnesio del fondo oceanico sono ora principalmente l’anfibolo (verde o blu) e la clorite, più raramente il pirosseno.
Sempre a questo livello, vi è poi nelle nostre montagne una testimonianza oceanica curiosa e ben precisa: le miniere di rame e manganese. Tutte le nostre miniere di rame e manganese sono infatti originate alla sorgente sottomarina di acque termali circolate nella crosta oceanica in prossimità della dorsale vulcanica. Perfino i tubi naturali di metallo in cui l’acqua calda scorreva sono stati trovati a vari livelli delle miniere (figura 9).
- Indecifrabili sono invece per i comuni mortali i sedimenti oceanici (figura 10), che, pur essendo riconoscibili come deposti in mare aperto, sono troppo analoghi a sedimenti di altra origine. Vi è però una chiave nascosta: in taluni luoghi alpini sono preservati microfossili oceanici, riservati agli specialisti.
Per passare in rassegna un concentrato di tutta la crosta oceanica, non c’è niente di meglio che gironzolare nel favoloso e tuttora indisturbato Vallone delle Cime Bianche, giustamente decretato Riserva Naturale Europea, che si trova ai piedi del Monte Rosa tra l’alta Val d’Ayas e la conca del Breuil in Valtournenche. Sul versante sinistro si concentrano le pietre verdi con serpentiniti e antichi basalti, sul versante destro s’innalzano ardite e panoramiche cime fatte di antichi sedimenti oceanici, inframezzate da una banda bianca dolomitica.
E l’acqua, materia prima dell’oceano, che fine ha fatto? Chiudendosi l’oceano, l’acqua defluisce negli altri bacini. Ma, pur restando invisibile, l’acqua oceanica impregna fortemente quasi tutte le rocce oceaniche. Le serpentiniti alla base della serie contengono oltre il 12 per cento di acqua nella formula del silicato di magnesio che le compone. Le rocce vulcaniche poi si presentano ora come anfiboliti, che sono minerali idrati, cioè contenenti acqua nella loro formula. I sedimenti soprattutto, ricchi di miche e cloriti, sono imbibiti d’acqua. Ecco dunque che un po’ di oceano giurassico liquido si è conservato fino ai nostri giorni…
Bibliografia citata
BOUSQUET R., SCHMID S.M., ZEILINGER G., OBERHAENSLI R., ROSENBERG C., MOLLI G., ROBERT Ch., WIEDERKEHR M., ROSSI Ph. (2012) – Tectonic framework of the Alps. Commission for the Geological Map of the World.
ROBERT C., BOUSQUET R. (2013) – Géosciences, la dynamique du système Terre. Belin, 1160 p.
NICOLAS A. (1990) – Les montagnes sous la mer. BRGM, Orléans, 188 p.
MARTHALER M. (2002) – Le Cervin est-il africain? LEP Lausanne, 97 p.
SCHMID S.M., FUEGENSCHUH B., KISSLING E., SCHUSTER R. (2004) – Tectonic map and overall architecture of the Alpine orogen. Eclogae geol. Helv. 97, 93-117.