Il torrente che scorre incassato fra due pareti di roccia forma una gola o forra, nella lingua locale roteus, che romanticamente viene chiamata anche orrido. Senza essere sempre sublime, il paesaggio degli orridi lascia a volte a bocca aperta per la sua intensità e maestosità. Proveremo in questo articolo a visitarne qualcuno, tanto più che tale configurazione fornisce una quantità di interessanti informazioni sulla storia e le caratteristiche del territorio.
Intanto osserviamo che gli orridi nelle nostre Alpi sono assai piccoli in proporzione agli esempi mondiali più noti (Gorges du Verdon, Grand Canyon del Colorado…). E questo in quanto la bella riuscita di un orrido dipende innanzitutto da tre parametri. Il primo parametro è il grado di fratturazione del corpo roccioso attraversato dal torrente. La roccia fratturata non sta in piedi a lungo e non dà quindi tempo al torrente di scavare bene il suo solco verticale. Pochi e piccoli sono nelle nostre Alpi i corpi rocciosi che non presentano pervasivi reticoli di fratture. Infatti le rocce delle nostre montagne provengono quasi tutte dall’interno della crosta terrestre dove erano governate dalle forze che muovono la Terra profonda. Le fratture si producono probabilmente nell’ultima fase della risalita delle nostre rocce verso la superficie, quando il materiale si raffredda e si rende fragile ma è ancora soggetto a spinte e torsioni da parte della roccia sottostante. Ulteriori fratture si producono in superficie essenzialmente per variazioni della temperatura ambientale.
La mobilità delle nostre rocce introduce un secondo criterio: la creazione degli orridi è influenzata dai movimenti del terreno in superficie. Molti movimenti in superficie infatti avvengono in risposta a tensioni più o meno profonde, in particolare le faglie che sono la forma di adattamento di una roccia rigida superficiale ad un movimento in profondità. In genere i movimenti superficiali destabilizzano le pareti dell’orrido, ma possono anche favorire l’approfondimento di solchi da parte dei corsi d’acqua.
In terzo luogo è da valutare il grado di erodibilità della roccia. Rocce solubili come quelle a base di carbonati (calcite, dolomite) permettono lo scavo verticale “veloce” di un orrido che può approfondirsi anche in presenza di valori parzialmente sfavorevoli degli altri due parametri.
Ovviamente si deve fare i conti con la dinamica del corso d’acqua: portata, regime, profilo altimetrico… Il torrente esercita maggior forza erosiva dove è più ripido, e dunque in particolare a valle dei punti di resistenza sul suo percorso. Questa configurazione è sovente presente negli orridi valdostani.
Ricapitolando: rocce rotte, rocce ballerine e rocce poco solubili non favoriscono la formazione di grandi canyon né di altri spettacolari fenomeni erosivi. Malgrado ciò, non mancano in Valle d’Aosta gli orridi di piccole dimensioni e di diversa natura, ciascuno con una sua propria genesi e, sovente, un proprio patrimonio etnografico per la suggestione che emana.
Orrido di Betenda
Si trova sul fondo della Valpelline, in Comune di Oyace a 1350 m, e ci si arriva dalla strada regionale in qualche decina di minuti con i sentieri n. 3 e n. 5. Si può però fare un bel circuito partendo dalla frazione Grenier di Oyace. Il ponte in pietra risale al 1688, gettato su un abisso di 54 metri (J.-M. Henry, 1925). La roccia è granulite basica, costituita da anfibolo (orneblenda) e plagioclasio calcico, appartenente al sistema continentale antealpino della Dent Blanche.
La Valpelline è una valle strutturale, formata da una piega a grondaia della falda rocciosa con l’asse in direzione SW-NE come tutte le principali strutture valdostane. Il fondo della grondaia però è fessurato un tratto nel senso della lunghezza, con il bordo destro (idr.) della fessura rovesciato a formare la piccola dorsale che corre tra la Tornalla di Oyace e la miniera di Bionaz. Sul fondo della fessura, al piede SE della dorsale, scorre il Buthier che contribuisce allo scavo dell’orrido, guidato dalla tettonica. Dal ponte si può ammirare il bel rigetto della faglia che ha abbassato il lato SE con un’inclinazione di oltre 60°.
Orrido di Introd
Sulla Dora di Rhêmes con direzione sud-nord, questa forra costeggia ad occidente il risalto su cui sorge il castello di Introd, alla quota di circa 850 m. Essa è conosciuta soprattutto per il ponte della strada regionale della Valsavarenche che la sovrasta di un’ottantina di metri, ponte ad arco in pietra costruito nel 1916 ora in attesa di restauro. La roccia dell’orrido è un calcescisto, antico sedimento argilloso e calcareo, appartenente forse ad una delle digitazioni verso SW del Complesso oceanico piemontese.
La genesi dell’orrido è legata ad una delle tante dorsali ad andamento SW-NE che controllano il rilievo di questa parte della regione. Come avviene in modo spettacolare in Valgrisenche, anche qui il torrente salta da un solco strutturale all’altro tagliando di netto la dorsale interposta. Il materiale roccioso della dorsale inoltre è “velocemente” erodibile in quanto facilmente solubile (carbonato di calcio) e la forra riesce bella rettilinea. Le dorsali (di cui si parla in altro articolo) coinvolgono indistintamente tutte le unità geologiche, per cui la loro surrezione si situa cronologicamente alla conclusione del processo orogenico (miocene, 5 milioni di anni fa?), ed il loro taglio ad opera dei torrenti ancora dopo.
Orrido di Pont d’Ael (Aymavilles)
Ancor più che ad Introd, qui è il ponte che è celebre, non senza ragione: il ponte-acquedotto firmato e datato all’anno 3 a. C. è un enigmatico capolavoro dell’ingegneria romana. Esso scavalca in 60 metri un orrido qui profondo 66 metri ma assai esteso lungo il corso della Grand’Eyvia, fra le quote 900 e 850 m circa. Nella parte alta, a sud del ponte, il torrente contorna un risalto massiccio con le pareti est e sud a picco, sulle quali è ancora in parte visibile un vertiginoso tracciato di canale in semi-galleria, in qualche modo legato all’acquedotto del ponte.
La roccia è un gneiss scuro a grana fine con albite, clorite e biotite che fa parte di un grosso nodulo cristallino detto anche Corpo della Valsavarenche, spaccato in due da eventi tettonici miocenici (da 20 a 5 milioni di anni fa); nel solco ivi aperto, che il ghiacciaio quaternario non ha granché allargato, passa il torrente che quindi risulta incassato e “orrido”. A valle del ponte invece la valle è più aperta e il fondo prativo conserva materiali e morfologia glaciali, sotto ai quali però il torrente scorre ancora molto profondo e incassato fra pareti ancora di gneiss. Per questo inconsueto approfondimento sotto il piano di erosione glaciale alcuni Autori hanno invocato per questa zona un sollevamento recente a ritmo elevato, che abbia localmente stimolato l’azione erosiva del torrente.
Orrido di Pré-Saint-Didier
Celebre dai tempi del primo turismo termale sette-ottocentesco, quest’orrido intorno ai 1050 m di quota è ora attrezzato per essere visitato anche dall’alto con una passerella panoramica. La sua particolarità è quella di ospitare l’unica sorgente calda (circa 35°C) della regione, conosciuta almeno dal XVI secolo se non già dai Romani o ancor prima. La temperatura “tiepida” dell’acqua sorgiva è forse dovuta alle tensioni che scaldano la roccia in una zona di recente sollevamento ed in prossimità del Fronte Pennidico, dove la placca europea sprofonda sotto l’edificio alpino. Alcuni resti di infrastrutture ottocentesche sono ancora visibili appena a valle della forra. Il torrente che percorre l’orrido è la Dora di Verney (o di La Thuile) che poi costeggia il capoluogo e si getta nella Dora Baltea. Sulla sua sponda destra, appena a monte della forra si apre la galleria di una miniera di rame abbandonata.
L’orrido consiste nel profondo taglio di una piccola dorsale ad andamento ovest-est costituita da marmi impuri, calcescisti e conglomerati a clasti calcarei appartenenti all’Unità Sion-Courmayeur. Perché quella piccola dorsale sia lì non è chiaro, ma in ogni caso essa ha funzionato da soglia glaciale alla confluenza dell’antico ghiacciaio del Ruitor con quello balteo. Il torrente ha inciso fino in fondo questa soglia per circa 160 m di profondità, lasciando belle pareti verticali sui lati. Se, come sembra, la maggior parte dello scavo è stata fatta dopo la scomparsa del ghiacciaio, la velocità di approfondimento deve essere stata notevole, almeno nei primi tempi, dell’ordine di un centimetro all’anno, facilitata dalla natura solubile della roccia.
Gorge de l’Enfer
Piccolissima e suggestiva forra della Dora Baltea, che segnaliamo per la piacevolezza del percorso di visita che dal ponticello a valle di Arvier fa un anello passando ai piedi delle vigne e nel bel borgo di Leverogne. L’orrido, a 700 m di quota, inizia alla confluenza della Dora di Valgrisenche e taglia di netto l’estremità di uno dei tanti costoloni ad orientamento SW-NE che controllano la Valgrisenche. La forra ha dunque un inconsueto orientamento SE-NW. La roccia è il bel micascisto argenteo dell’Unità di Leverogne.
Gole di Montjovet
Luogo carico di storia e di reperti archeologici anche preistorici, delle gole di Montjovet si sa che ebbero un ruolo di frontiera, o meglio di contatto, fra culture nord-europee e culture mediterranee dal Neolitico all’età del Ferro, e ancora ai tempi della conquista romana segnarono il limite dell’area romanizzata facente capo ad Eporedia. La Strada romana delle Gallie evitò la gola per passare a monte, sulla sinistra idrografica, con un tracciato molto più razionale di quello dell’attuale strada statale, che segue i rifacimenti medievale e settecentesco. Un paio di castelli dominano le gole dal Medioevo. La gola vera e propria è in parte sconvolta dall’autostrada che sfiora lo storico Ponte delle Capre gettato nel punto più stretto; alla testata del ponte è inciso in pietra lo stemma sabaudo.
L’orrido, percorso dalla Dora Baltea, inizia da una soglia rocciosa alla quota di 420 m s.l.m. in Comune di Saint-Vincent e si sviluppa per circa 2 km su 40 m di dislivello. È inciso in una serpentinite qua e là intersecata da sottili livelli di clorite (“pietra ollare”). La roccia è sorprendentemente sana e poco fratturata, conservando diffusamente gli arrotondamenti ed i solchi lisci dell’abrasione glaciale. Le rare fratture corrispondono per lo più a piccole e medie dislocazioni nell’ambito della faglia multipla detta dell’Ospizio Sottile, di direzione SW-NE, attivatasi nel Miocene, tra 20 e 5 milioni di anni fa. Una bella faglia N-S parallela alla forra è altresì visibile sul sentiero che porta al Ponte delle Capre da sud. È senz’altro grazie a queste faglie che la Dora Baltea, già costretta dalla precedente faglia Aosta-Ranzola ad un percorso W-E, riesce qui ad uscire dal solco e riprendere a sud la via del mare. Queste faglie costituiscono altresì l’innesco della bella Frana di Rodoz, in letteratura erroneamente Frana del Monte Avi, dalle fresche forme concavo-convesse che attraversa con il suo corpo detritico tutta la gola a Champérioux. Un grande lago si era formato a monte dello sbarramento prima che questo venisse inciso fino in fondo dall’emissario, e restano depositi lacustri in molti luoghi della media valle.
Di altri orridi parleremo, se vi va, in una prossima puntata…
Qualche indicazione bibliografica
- Servizio Geologico d’Italia (2011) – Carta geologica d’Italia alla scala 1:50000 foglio 89 Courmayeur. ISPRA (Roma) e Regione Autonoma Valle d’Aosta.
- Servizio Geologico d’Italia (2011) – Carta geologica d’Italia alla scala 1:50000 foglio 90 Aosta. ISPRA (Roma) e Regione Autonoma Valle d’Aosta.
- Henry J.-M. (1925) – Guide du Valpelline. Société Editrice Valdotaine, Aoste.
- Fedele F. (2015) – Preistoria della bassa Valle d’Aosta: per una storia del popolamento. In Bulletin d’Etudes préhistoriques et archéologiques alpines XXV-XXVI, 9-62
- Sito regionale della carta geologica: http://geonavsct.partout.it/pub/geocartageo/
Ottimo interessante articolo, attendiamo curiosi la prossima puntata. Grazie