Quota 540 metri sul livello del mare. Fermiamo la macchina davanti ad una sbarra bianca e rossa. Calziamo gli scarponi, buona abitudine anche per le piste sterrate. Dove porterà la pista? Ad una discarica ovviamente, se no non sarebbe sbarrata. Ma una traccia prosegue oltre in leggera discesa, e sbocca su un luminoso ripiano a più livelli, qua e là tenuto su da muretti a secco, irregolarmente inframmezzato da mucchi di sassi da spietramento (meurdzire) semicoperti da cespugli più o meno spinosi. Fin qui tutto regolare, apprezziamo la passeggiata, circa 8 minuti in tutto.
Ma una fila infossata di alberelli attira la nostra attenzione e i nostri passi. Altolà, l’erbetta finisce davanti ad un salto di sette-otto metri, non si vede bene il fondo al buio. La lunga voragine è intermittente, brevi tratti sono riempiti di terra e sassi e formano agevoli passaggi aldilà del solco, che è largo un paio di metri. Dove si vedono, i bordi sono di roccia viva. Tiriamo fuori la bussola (il telefonino ci mette troppo tempo): direzione quasi esattamente nord-sud.
Seguiamo il solco verso nord, ma lo perdiamo scendendo in un bosco intricato. Torniamo verso sud, dove il solco spezza in due il promontorio roccioso appena coperto di erba indigesta a qualsiasi quadrupede salvo le capre, che lasciano vistosi mucchietti di petolle in segno di gradimento. Sul bordo del ripiano notiamo un manufatto che ci intenerisce il cuore: dove inizia la discesa, il solco è sbarrato dal muretto a secco a sostegno del ripiano, costituendo così un eccezionale intervento umano in un fenomeno tettonico.
Il solco s’infila nel pendio mantenendo i fianchi paralleli come un torrente arginato negli anni ottanta, col fondo ingombro di blocchi di pietra delle pareti e altro materiale più minuto. Poi il pendio precipita e io tengo famiglia, non sono andato a vedere come finisce. Ma siamo andati ad esaminare la roccia dei fianchi del solco. Si tratta di marmo con molti silicati (ci è sembrato: mica, clorite, quarzo in noduli ma forse anche anfibolo e altro) a livelli e bande delicatamente sinuose, molto eleganti a vedersi. Ma quello che cercavamo sulle pareti erano degli indicatori del movimento della faglia, perché era evidente che di una faglia si trattava. Cioè un pezzo di montagna che si muove, si sposta. Fra tutti gli indizi di movimento, abbiamo privilegiato una paretina verticale piana con una lenticella di quarzo che mostra sporgenze asimmetriche a ripetizione, delle dimensioni di circa 5 centimetri: da un lato sono perpendicolari alla superficie della roccia, dall’altro digradano dolcemente. Abbiamo così ritenuto di individuare nel movimento della roccia una componente trascorrente destra: il lato ad ovest si è spostato verso nord. Nulla sappiamo per ora della componente verticale in quanto non abbiamo elementi per valutare l’eventuale erosione che può aver successivamente pareggiato le superfici e “annullato” il rigetto (lo spostamento in verticale). Se la faglia è stata attiva in tempi postglaciali la componente verticale era nulla o quasi.
E in effetti il grosso problema per noi è: quando si è prodotta la faglia? Tutto lascia pensare che se fosse stata attiva solo prima o durante le glaciazioni il solco non avrebbe queste forme così nette e fresche, e sarebbe riempito di materiale glaciale. Se invece si è attivata dopo la deglaciazione, ci viene un brivido: potrebbe essere ancora attiva, e una simile scossa, sia pure diluita nel tempo, può fare grossi danni se si ripete ora.
Meditando sulla fragilità della civiltà umana ci avviamo al ritorno perlustrando il bordo SE del ripiano quando ci imbattiamo in una serie di marmi affioranti belli piatti levigati dall’antico ghiacciaio. Quasi tutti recano incise scritte di epoca storica. Una frase fascista ha il merito di recare una chiarissima data: 18-11-1935 – A. XIV. Una frase religiosa. Un fiasco con un bicchiere. Una serie di frasi un po’ consumate dal tempo, iscritte a stampatello entro una serie di lunghi festoni paralleli delimitati dalle bande di silicati entro il marmo. Altre scritte che bisognerà impegnarsi per decifrare. E poi, in bella evidenza, due termini catastali della tipologia classica.
Difficile in Valle d’Aosta trovare un luogo in cui non ci sia niente di interessante.