Pellegrinaggio laico a partire dal Santuario di Plout (Saint-Marcel). Breve e facile passeggiata ad anello fra villaggi, ambienti e monumenti tutt’altro che banali. Deviazione “sportiva” per spiriti più esigenti.
Località: Comune di Saint-Marcel (Valle d’Aosta).
Accesso: Dalla Statale 26 della Valle d’Aosta deviare per Saint-Marcel. Attraversare tutto il paese seguendo le indicazioni per il Santuario di Plout e la strada della collina. Seguirla poi per circa 3 km.
Partenza: Parcheggio davanti al Santuario di Plout 980 m s.l.m.
Dislivello: 200 m scarsi in saliscendi. Eventuale deviazione altri 250 m.
Durata: 2 ore scarse l’anello base, da raddoppiare con le visite; altre 2 ore per l’eventuale deviazione.
Periodo: Da marzo a novembre se non c’è neve.
Tracciato: Larga mulattiera lastricata, sentiero, strada sterrata.
Segnavia: n. 3, n. 13, n. 3C
Topografia: Carta dei Sentieri n. 13 Valle Centrale, L’Escursionista editore, scala 1:25000.
Traccia GPS: plout.gpx
Verso Seissogne e oltre
Il parcheggio di Plout è ampio e provvisto di un bel cartello esplicativo sulle risorse ambientali e monumentali del vallone. Peccato che attualmente (marzo 2019) sia sbiadito e non si legga più tanto. Il cupolone verde del gran Santuario ci attira ma lo teniamo per dopo. Al fondo del piazzale inizia il nostro mulattierone che costeggia a monte il Santuario, facendosi largo, tra marzo ed aprile, in una profusione di delicate campanelline bianche simili a bucaneve (Leucojum vernum). Le campanelline bianche ci accompagnano per tutti i 70 metri di dislivello che ci separano da Seissogne, e all’arrivo galline, oche e tacchini razzolanti ci dicono che il grande villaggio è abitato tutto l’anno.
Il forno è attivo e il mulino è dotato di tutti i suoi elementi vitali, dalla ruota orizzontale alla macina alla canaletta in legno per far arrivare l’acqua. La chiesetta, il lavatoio, gli orticelli vivacizzano un agglomerato tradizionale ben preservato e ricco di spunti originali, dai balconi alle scalette alle incisioni parietali.
Alla base il villaggio è contornato da una breve stradina in terra che porta verso ovest nei prati; qui alla prima deviazione a sinistra si può salire ad osservare, in cima ad un gran roccione isolato, un complesso di incisioni rupestri che fu tra i primi in Valle ad essere studiato ed inventariato.
Proseguiamo per la stradina in lieve discesa che finisce al bordo di un boschetto umido e continua come sentiero n. 13. Anfratti, pietraie, costiere assolate, boschi e prati, il sentiero è assai vario e piacevole in saliscendi fino al piano di Morge.
Le antiche cave di macine: le Mouliye
Qui, una ghiotta occasione si presenta a quelli di noi che sono giovani (intendiamoci, sotto gli 80), allenati, in forma e molto curiosi: un cartello giallo indica la deviazione per le storiche Mouliye, le locali cave di macine da mulino.
Al culmine di una salita di 40 minuti senza poter tirare il fiato, si accede ad un ripiano terrazzato disseminato di probabili scarti di lavorazione. Proseguendo lungo il ripiano, ci si trova poi nello spazio dove la roccia è stata asportata dalla montagna: un ampio corridoio fra pareti che lo delimitano verticalmente a monte e a valle. Abbozzi di macine occhieggiano qua e là, in parete come in detrito. Nessun indizio di lavori recenti, tutto giace lì da almeno un secolo.
Andiamo ancora avanti seguendo un’esile traccia di sentiero e ci affacciamo sul bordo di un breve dirupo che la traccia affronta in ripida discesa. Risaliti poi leggermente per toccare la parete, troviamo finalmente roccia in spacco fresco, qua e là mineralizzata ad ossidi (giallo-brunicci) o a solfuri (con colate turchese). La pietra è quella da macina, chiamata cloritoscisto granatifero, formata da un impasto tenero verdino (clorite) in cui sono fittamente immersi granati rossi più o meno ben sfaccettati e freschi, in rilievo. Questa roccia forma l’involucro “sterile” delle mineralizzazioni a ferro-rame sfruttate più in alto in miniera.
L’attrattiva principale qui è però il ricovero trogloditico sospeso a metà parete, con un muro di chiusura dotato di porta e finestra, un ballatoio in legno e alcune impalcature pure in legno, ora crollate, che facilitavano l’accesso da una cengia retrostante. Questo riparo fino al 1972 serviva all’ultimo cavatore, un certo signor De Marchi, il quale confezionava vasi, mortai ed altri recipienti lavorando questa pietra da macina nella forgia giù a Faverge, presso il capoluogo. Siamo dunque al cospetto delle vestigia di una nobile attività esercitata in Valle d’Aosta fin dalla prima Età del Ferro: la pietra ollare. Sulla via del ritorno potremo collezionare qualche bel campione di questa pietra così storica e singolare.
La Strada di Cavour
Tornati al bivio alla base della deviazione, anziché continuare in piano si attraversa il sentiero e si scende fra le case di Dziquey-Morge, di cui alcune rinforzate da lavori di manutenzione, e si segue il sentiero che porta alla strada sottostante attraversando i grandi prati.
Imbocchiamo in discesa la strada sterrata. Si tratta di una infrastruttura considerata “strategica” nell’Ottocento, che fu fatta costruire dal ministro Cavour per intensificare lo sfruttamento (ad opera di privati) delle miniere del vallone. Lo Stato sabaudo infatti, con il suo Arsenale militare ad alta tecnologia, era il principale acquirente del minerale valdostano.
Scendendo per la strada, in certi punti è possibile una visione d’insieme della zona. Guardando verso monte, si capisce che la chiave del territorio è la grande spalla rocciosa che nasce su a Fontillon e scendendo dritta verso nord (verso di noi) segna la svolta dalla valle centrale al vallone vero e proprio di Saint-Marcel. La costiera rettilinea rappresenta infatti l’ancoraggio alla roccia stabile, essendo tutto il versante dal Mont Courquet alla Dora, con Plout e Seissogne, incluso in un grande dissesto profondo. Ciò non impedisce alla collina di Saint-Marcel di essere varia e ridente, inframmezzata da bei ripiani erbosi. Questo spiega anche la grande diversità di ambienti lungo il sentiero n. 13, che attraversa il limite tra frana e terraferma.
Il villaggio di Plout, il Santuario ed Enchasaz
La pista con una inattesa salitina sbuca nel ripiano finale, presidiato da un secolare castagno dall’enorme tronco forato, che mani artistiche hanno addobbato con una statua e composizioni varie in ferro battuto. Prati e frutteti ormai annunciano Plout, villaggio che attraversiamo al suo interno per scoprirne il ricco patrimonio architettonico. Architravi in pietra scolpite a chiglia rovesciata con croce patente, un architrave con trigramma IHS datato al XVII secolo, camini con teste bifronti sono fra le chicche del villaggio.
Però l’originalità più spiccata, in muri, archi e riquadrature di porte e finestre, sta nell’inserimento dei frammenti di macina in cloritoscisto granatifero, che, ricordiamo, è una pietra verde con grossi granati rotondi in rilievo. Tali blocchi potevano provenire, tramite la strada Cavour, vuoi dalle Mouliye vuoi dalle miniere di Servette. Non a caso per i bambini Plout è “il paese del morbillo” con le sue case a pallini rossi.
L’enorme mole del Santuario ottocentesco, alla fine del villaggio, lascia meditabondi, né valgono le leggende e i resoconti di fondazione, riportate sui cartelli, a distoglierci da un sospetto di megalomania. Ma la cosa non ci disturba e anzi ci invoglia a visitare l’interno, che si rivela ricco di dettagli interessanti. In apparente casualità sono esposti doni ed ex-voto di pellegrini, un omaggio monumentale a sant’Anselmo, belle tavole dipinte e numerose scritte, lapidi e cartigli esplicativi, il tutto decorato con profusione di finti marmi valsesiani e scalini di vero marmo verde valdostano.
Proseguendo oltre il Santuario, si può visitare il villaggio gemello di Enchasaz, ricco di pregevoli edifici, belle strutture in legno, un piccolo museo etnografico nell’antica latteria, un mulino e anche lì macine rotte a far da riquadrature di porte e finestre. Ricchi di tale bottino culturale, e benedetti da Notre Dame de Tout Pouvoir patrona del Santuario, possiamo sederci alla locale Cantina del Viandante e senza alcun complesso passare ai piaceri del cibo e dell’ozio.
Ringraziamenti
Mirko Cianci mi ha reso partecipe di alcune delle sue molte e preziose conoscenze su Saint-Marcel e la sua gente.
Emilia Agavit mi ha fatto gentilmente e dottamente visitare il Santuario ed Enchasaz con la sua latteria.