La scienza in Italia è poco cantata dai poeti. Guido Gozzano con le sue farfalle è fra le simpatiche eccezioni. Noi geologi abbiamo Giacomo Zanella. Eh sì, dobbiamo accontentarci, la geologia farà sì e no il venti percento della sua poesia geologica, l’arcinota Sopra una conchiglia fossile nel mio studio del 1868. Vediamo di spulciare bene le cose interessanti di questo testo.
Intanto nel titolo mette avanti con sussiego che lui nel suo studio ce l’ha proprio la conchiglia fossile. Mica parla per sentito dire. Dello stesso tenore i primi due versi: l’oggetto sta sul chiuso quaderno di vati famosi. Mi piace pensare che i vati siano i suoi autori di riferimento per la paleontologia, e quindi: lui sì che si documenta, mica parla a vanvera.
Da qui in avanti la conchiglia è evocata nei suoi ambienti di vita: dal musco materno lontana riposi, riposi marmorea, dell’onde già figlia, ritorta conchiglia. Suggestivo, niente da dire, una conchiglia a spirale (ritorta) che occhieggia fra briofite marine. Ma dunque, di che conchiglia si tratta?
Occulta nel fondo d’un antro marino del giovane mondo vedesti il mattino; vagavi coi nautili, coi murici a schiera; e l’uomo non era. Per Zanella il mattino del mondo doveva corrispondere più o meno al Paleozoico (che ora sappiamo essere da 490 a 250 milioni di anni fa, ma lui non lo sapeva). Peccato che i riferimenti contestuali (nautili e murici, come più oltre polipi e coralli) non siano di aiuto, in quanto molluschi presenti dal Paleozoico e tuttora viventi nei nostri mari. Il tema naturalistico riprende alla sesta strofa: tu, prima che desta all’aure feconde Italia la testa levasse dall’onde, tu, suora dei polipi, dei rosei coralli pascevi le valli. Ma l’Italia leva la testa dall’onde, cioè emerge dal mare, piuttosto tardi, quindi il riferimento a “prima” non è significativo. Insomma, dai dati che ci sottomette non riusciamo ad identificare la conchiglia. Cominciamo a capire che si tratta di una conchiglia virtuale, prototipo e simbolo di chi ha vissuto tutta la storia della Terra. Ma il poeta, per proseguire il discorso, ha bisogno che noi crediamo alla realtà concreta della conchiglia. Ecco forse spiegate le insistenze sulla presenza del fossile nel suo studio.
Con molta più precisione poi il poeta passa in rivista i tempi della storia umana, giustamente ridimensionandoli rispetto all’età della conchiglia fossile: si crede canuto appena all’Artefice uscito di mano il genere umano! In questa insistenza a distinguere fra gli arcani paesaggi della conchiglia e i tempi recenti dell’uomo sta forse il valore scientifico dell’opera, in quanto sembra svincolare il cattolico Zanella dal dogma biblico della breve durata (poco più di 6000 anni) della Terra geologica. La poesia fu scritta nell’anno in cui Lord Kelvin calcolò in 20-40 milioni di anni l’età della Terra, mentre già Darwin reclamava tempi più lunghi per far evolvere le sue specie.
Imperniata sul concetto di tempo, la nostra poesia dà un quadro realistico della disperata carenza di dati spazio-temporali assoluti in cui si dibatteva la scienza a metà ottocento. Il passato appena un po’ remoto non poteva venir misurato, e per default veniva messo nelle mani di Dio. La storia del mondo si riduceva per molti scienziati e filosofi ad una successione di eventi sbrigativamente gestiti dall’Onnipotente. Ne risultava un universo breve e dai tempi rapidi. Ed accorciando i tempi del mondo passato, accorciavano anche quelli futuri (nel buio degli anni Dio pose la meta de’ nobili affanni. Con brando e con fiaccola sull’erta fatale ascendi, mortale!). Dunque era normale aspettarsi a breve cambiamenti spettacolari. La scienza avallava, o quanto meno non ridicolizzava, le idee correnti di un imminente rapido salto di qualità per l’umanità. Umanità che non viene citata nella nostra poesia, in cui è assurdamente sostituita dalla parola Terra (se schiavi, se lacrime ancora rinserra è giovin la Terra). Probabilmente una prudenza per evitare un termine caro ai socialisti, rischio a cui Zanella doveva fare attenzione.
Certo ai nostri occhi disincantati tutto questo entusiasmo per il sol dell’avvenire ci lascia freddini. Con l’esperienza del Novecento, il fallimento delle utopie sociopolitiche da una parte, e il dilatarsi dei confini spazio-temporali dell’universo dall’altra rendono miserevole la prospettiva “corta” ottocentesca. La poesia di Zanella, sacerdote di buona osservanza, testimonia che ve ne era anche una versione cattolica: e splenda dei liberi un solo vessillo sul mondo tranquillo. Poi dalla politica si passa all’estasi: allora de’ cieli nei lucidi porti la terra si celi: attenda sull’àncora il cenno divino per novo cammino. Per il nostro poeta dunque il cambiamento verrà dall’uomo che impara a vivere in pace, curiosamente sull’esempio dei grandi guerrafondai del passato, tipo Giulio Cesare e Gengis Kan (dell’Indo pur ora sui taciti imperi splendeva l’aurora). In qualche modo il cambiamento umano coinvolge la Terra, il mondo naturale: e in questo purtroppo Zanella potrebbe essere profeta al contrario, con l’impatto devastante delle attività umane sull’ambiente negli ultimi due secoli.
Mai abbastanza sottolineata, dunque, l’importanza culturale della cronologia geologica. Prima della sua scoperta l’umanità poteva più facilmente esser preda di qualsiasi ciarlatano. Qualunque parte politica poteva convincere le folle della necessità di obbedire a certi precetti per giungere rapidamente al dominio sul cosmo che era lì ad attenderlo. Poi la cronologia geologica, con l’astrofisica e altre scienze, ha individuato la posizione dell’uomo nell’universo. Ora la coscienza che un tempo totalmente svincolato dai cicli umani regola il mondo, compresa la nostra Terra, rende improponibili tanto le pretese che l’universo sia finalizzato ad accogliere e servire l’uomo, quanto i dilemmi ottocenteschi sull’indifferenza della natura (“che fai tu Luna in ciel…”).