Il vallone, con andamento est-ovest, si apre sulla destra idrografica del torrente Lys all’altezza del capoluogo di Issime (circa 1000 m s.l.m.). Consta di un largo gradino di confluenza con dislivello di circa 700 metri fino alla cappella di San Grato, e di un articolato tronco vallivo retrostante con apice al Col de Dondeuil (2342 m).
A sud, la cresta spartiacque verso il Vallon de Nantay (Perloz) ed il vallone di Echallognes-Possine (Arnad) culmina al Mont Crabun 2711 m, mentre ad ovest quella verso il Vallon de Dondeuil (Challand St-Victor) culmina al Corno del Lago 2746 m. A nord, la cresta verso il vallone di Chasten (Challand St-Anselme), detta delle Dame di Challant, si eleva ai 3015 m della Becca Torché ed ai 3032 m della Becca di Vlu, per scendere ai 2925 m del Monte Voghel che si affaccia anche sul vallone di Stolen (Issime).
A nord del tronco vallivo superiore, la barriera relativamente compatta delle Dame di Challant produce solo valloncelli trasversali ripidi e ingombri di accumuli detritici. A sud invece, ai piedi di una più modesta barriera rocciosa, il vallone si articola in ripiani e conche con una idrografia in parte autonoma che evolve, secondo la quota decrescente, dai laghi alle torbiere. Il nome della conca superiore, i Piccoli Laghi, curiosamente si riferisce ad una spianata laterale disseminata di innumerevoli minuscoli specchi d’acqua, mentre quella principale è occupata da un lago a due corpi diseguali, complessivamente piuttosto esteso.
In effetti poi la rete idrografica del vallone viene per larghi tratti unificata dal torrente Walkhunbach, che alla testata drena i valloncelli a nord, poi riceve le acque dei laghi con una forra impressionante presso Reich. Da qui s’infossa a sud per gran parte del percorso, ma appena prima dello sbocco nel Lys riceve le acque dei restanti valloncelli a nord, drenati a parte dal torrente Grundjischbach.
Dal punto di vista degli utilizzi antropici tradizionali, il vallone offre, in ordine decrescente di superficie, pascoli, boschi e prati sovente irrigui. Più in dettaglio possiamo suddividere il territorio del vallone in quattro parti. Una parte è costituita dal gradino di confluenza, al di sotto dei 1700 m di quota: un territorio globalmente ripido e roccioso, sconvolto da almeno due vasti episodi franosi antichi, con brevi rotture di pendenza sistematicamente sfruttate da terrazzamenti e villaggi. Una seconda parte si stende, alla testata nella fascia sud, sulla gran conca dei Laghi con torbiere e alpeggi, per stringersi poi ad est e ridursi a qualche piccola spianata umida lungo la forra del gradino di confluenza. La terza parte è costituita dalle alte pendici sassose della catena a nord, con magri pascoli che si integrano poi ad est con quelli del contiguo vallone di Stolen. La quarta parte comprende la fascia assiale del vallone superiore con le migliori superfici già ai piedi del colle, e poi giù fino al bordo del gradino di confluenza, disseminate di alpeggi complessi dalle raffinate linee architettoniche.
L’insieme di questi elementi rilevati nell’osservazione geografica trova riscontro qui di seguito nell’analisi geologica degli agenti erosivi, delle strutture e dei corpi rocciosi.
Glacialismo
Un gradino di confluenza più ripido e meno inciso rispetto ad un tronco vallivo superiore più sviluppato e meno acclive: il vallone di San Grato mostra qui una tipica morfologia glaciale, dovuta al maggiore approfondimento della valle principale ad opera del più possente ghiacciaio pleistocenico del Lys rispetto alla lingua secondaria del nostro vallone. La soglia glaciale fra gradino (scavato dal Lys) e tronco vallivo superiore (modellato dal ghiacciaio locale) è però stata sconvolta e quasi totalmente asportata da almeno due episodi franosi antichi di cui si dirà più sotto. L’antica lingua glaciale locale ha comunque impresso molteplici caratteri al paesaggio del vallone, soprattutto alla sua testata con un complesso circo glaciale a due apici, l’una tra il colle e le Dame di Challant, e l’altra nella conca dei Piccoli Laghi.
Il versante sinistro, quello dominato dalle Dame di Challant, conserva alcune interessanti forme di deposito glaciale, in particolare numerosi cordoni morenici laterali e frontali di due antiche lingue che scendevano quasi congiungendosi fino alla quota di 2300 m fra Obru Vlu e Undru Vlu. Un ghiacciaio roccioso (rock glacier) è poi impostato nel valloncello di Valfreidu, dove “scorre” appena ad est dei ruderi. Quasi tutti i principali insediamenti del tronco mediano, da Chreuz a Ronh, da Mattu a Kekeratsch, insistono su terreni glaciali di fondovalle, mentre sul versante destro resistono terrazze glaciali solo intorno a Buadma. Altrove, come è normale in montagna, i terreni modellati dal ghiacciaio sono stati poi rimossi da frane, da erosione torrentizia e da ruscellamenti vari, oppure sono stati ricoperti da frane, da detrito di versante, da materiale alluvionale oltre che da laghi e torbiere.
Numerosi rilievi rocciosi lungo tutto il vallone recano traccia dell’abrasione glaciale pleistocenica. In particolare l’erosione glaciale ha operato con successo nel modellare i solchi del settore sud, lasciando costoloni levigati a delimitare l’alveo, sovradimensionato, in cui scorre il torrente nel suo tratto mediano. In effetti più che di un alveo si tratta di un solco efficacemente e selettivamente approfondito dall’ablazione glaciale, con probabili sovraescavazioni nei tratti di roccia meno coerente, e conseguente formazione di torbiere.
Neotettonica e geomorfologia
La struttura su cui si imposta l’intero vallone è una antica spaccatura che interessa la montagna tra Lys ed Evançon all’altezza del Col Dondeuil. La frattura vari milioni di anni fa ha spostato e maciullato la roccia lungo una linea orientata est-ovest su cui ha subito iniziato ad agire l’erosione. Questo tipo di accidente, chiamato faglia, accade con frequenza, ancorché con discrezione e lentamente, nelle zone geologicamente attive come le catene di montagne, e vi costituisce il principale artefice del paesaggio fisico. In effetti è l’osservazione del paesaggio (anche tramite satellite e foto aerea) che ci fa postulare una faglia sul fondo del vallone di San Grato, in quanto prove dirette della sua esistenza non sono rilevabili sulle rocce: la faglia presumibilmente non è più attiva da tempo e le sue tracce sulle rocce dei bordi sono state cancellate dalle successive glaciazioni.
La nostra faglia scorre in modo rettilineo e senza interruzioni dal Col Dondeuil (e da prima, in territorio di Challand) fin nei pressi di Janserp, dove un vasto crollo dal versante destro la seppellisce, deformando in pari tempo anche questa parte del gradino di confluenza. Il torrente principale del vallone si tiene costantemente all’interno della faglia, e con il contributo del ghiacciaio pleistocenico vi ha creato un vero fosso tettonico. Il fosso è delimitato a tratti da lunghi costoloni di roccia a frattura verticale verso l’interno, levigati dall’abrasione glaciale.
La faglia principale è duplicata poco a nord da una faglietta secondaria, quasi parallela, che scorre dai pressi del colle fino a Chreuz sul bordo del gradino di confluenza, dove anch’essa scompare nel crollo sottostante. È contrassegnata da torbiere, da vallette in contropendenza e da attenuazioni di acclività nel pendio esposto a sud. È dunque ancora ben distinguibile ma assai più disturbata da eventi erosivi e, soprattutto, da accumuli gravitativi. Varie frane di crollo sono individuabili sul versante, che in cartografia risulta in dissesto profondo. In effetti la maggior produzione di detrito dalla soprastante cresta nord del vallone ha senz’altro contribuito a limitare il ruolo morfologico di questa seconda faglia, che è priva di un proprio reticolo idrografico superficiale. Ciò non toglie ch’essa regali comunque al vallone una fascia supplementare di terreno fertile ampliando il fondovalle con superfici pianeggianti a bassa quota, come ben si osserva dalla densità degli insediamenti e dalla viabilità tradizionale. L’azione combinata delle due faglie ha consentito altresì ai fattori erosivi di incidere maggiormente il vallone facendone arretrare la testata, a scapito della Val d’Ayas, rispetto al contiguo vallone di Stolen.
È poi da notare che il dissesto profondo del versante ad est di Valfreidu trae origine da una lunga serie di trincee beanti e sdoppiamenti di cresta che affliggono il crinale tra le quote 2340 e 2500 m, fenomeni poi duplicati a mezza costa a quota 2250 m, da Galm verso l’interno del vallone (ovest). Questa serie di disturbi sfociano poi nella dislocazione della cresta spartiacque all’apice del valloncello di Valfreidu: la dorsale in questa zona perde continuità tracciando un insellamento di direzione grosso modo NE-SW, direzione frequente nel sistema regionale degli sforzi tettonici.
Un altro importante elemento geomorfologico è dato dalla spianata all’angolo SW del vallone, la già citata conca dei Piccoli Laghi, che costituisce una sua testata secondaria, ai piedi del Mont Crabun e del Corno del Lago. Si tratta in realtà di una successione di terrazze strutturali, cioè riconducibili a superfici di discontinuità della roccia. Tali terrazze sono variamente inclinate, scaglionate fra 2400 e 1900 m, e le più vaste ospitano numerosi laghi e laghetti. Tutto il versante a basamento dei laghi nella cartografia geologica regionale è indicato in dissesto, e al suo piede si apre la torbiera di Reich con la forra di confluenza dell’acqua dei Piccoli Laghi.
Una spiegazione per l’insieme di tali forme depresse è forse da ricercarsi nella natura di alcune rocce di questo versante destro, calcaree e poco coerenti (“lose bianche”), soggette quindi a dissoluzione anche in profondità, dove possono aver creato progressivamente una serie di vuoti poi colmati con crolli e sprofondamenti.
Natura e assetto delle rocce
Il vallone di San Grato rientra completamente nella grande falda di rocce prevalentemente felsiche (cioè ricche in elementi leggeri ed in particolare di silice, caratteristica questa delle croste continentali) che troviamo sul bordo interno dell’arco alpino occidentale verso la pianura padana. Caratteristica principale di queste rocce continentali alpine è la mineralogia assolutamente insolita a livello mondiale, che riflette equilibri anomali fra pressione e temperatura. Le associazioni di cristalli presenti nella roccia, infatti, coesistono solo ad alta pressione, corrispondente ad una profondità nella crosta terrestre di almeno 60 km, ma ad una temperatura ancora assai bassa (non più di 550-600 °C, mentre la media sul pianeta a tale profondità darebbe una temperatura circa doppia).
Condizioni simili di pressione e temperatura si verificano solo nel caso della subduzione litosferica, cioè quando due placche (due “fette” di superficie terrestre) si accavallano l’una sull’altra. In questo caso lo spessore crostale raddoppia, aumentando la pressione, ma le rocce verso la base della pila sono ancora “fredde” al riparo dal calore che viene dal centro della Terra. Ciò si verifica in tutte le catene di montagne della Terra, producendo le rocce dette eclogitiche. Ma l’originalità di questa falda è duplice: primo, la roccia è risalita in fretta lasciando in vaste zone inalterata la mineralogia eclogitica acquisita in profondità (mentre altrove nel mondo nel corso della risalita verso la superficie i cristalli si ritrasformano); secondo, la materia prima è una roccia continentale, mentre di solito ad inabissarsi sono i fondali oceanici. Tutto ciò produce una roccia ricca di minerali relativamente rari e a volte utili, come il granato, la giadeite, il quarzo, l’epidoto, il rutilo, il marmo. La roccia che li contiene, a seconda del materiale di partenza, può essere un metagranito o una metaquarzodiorite (da originarie rocce magmatiche di tipo granitico), un micascisto granatifero (da sedimenti vari), un marmo, un marmo dolomitico o un calcefiro (da sedimenti calcarei). Nella risalita le associazioni minerali eclogitiche si vengono a trovare fuori del loro campo di stabilità e quindi, se le condizioni lo consentono, “si disfano” a favore di altre più banali, in genere con formazione di plagioclasi, mica e clorite. Tutto ciò nella roccia consente di leggere le varie fasi attraversate e quindi gli spostamenti nel corso della subduzione e poi della esumazione. Si è così cercato di ricostruire la storia di questa falda rocciosa, facendola derivare da una originaria placca di pertinenza africana coinvolta oltre 100 milioni di anni fa nelle prime fasi della convergenza litosferica, quindi sepolta nel corso della subduzione. Da oltre 60 chilometri di profondità, verso 70 milioni di anni fa iniziava una relativamente rapida risalita verso gli attuali livelli superficiali, raggiunti intorno a 40 milioni di anni fa. Nelle loro classificazioni, i geologi hanno annoverato questa falda nel Sistema Austroalpino con il nome di Zona Sesia.
Nel suo insieme, la geologia del vallone di San Grato si gioca fra due tipologie di materiali continentali sottoposti a subduzione, e cioè da un lato le rocce eclogitiche di antica origine sedimentaria, con i classici micascisti eclogitici, e d’altro lato quelle di origine magmatica, con metagraniti e metaquarzodioriti. I micascisti eclogitici si compongono per lo più di mica bianca ferrifera di alta pressione (fengite auct.), quarzo, carbonati e quantità variabili di glaucofane e rutilo, più o meno alterati e retrocessi. Metagraniti e metaquarzodioriti conservano qua e là traccia di pirosseno sodico e granato (minerali eclogitici) in una associazione gneissica (quarzo, albite, feldspato alcalino) ricca di clorite e/o anfibolo.
Più in dettaglio, sotto la Becca di Vlu (parete est) ed il Monte Voghel affiorano alcune lenti di metabasiti (antico materiale magmatico ricco in ferro e magnesio) a mineralizzazione eclogitica ben preservata. In effetti queste metabasiti sono preziose in quanto registrano con la maggiore precisione possibile, nei loro minerali, la sequenza degli eventi geodinamici (temperatura, pressione, presenza di fluidi) a cui sono state via via sottoposte. Inoltre, una di esse è tagliata da un dicco lamprofirico, una specie di condotto vulcanico fossile riempito di lava solidificata. Questi fenomeni “quasi vulcanici” costituiscono l’ultimo “evento caldo” sulle Alpi, perché sono tuttora intatti e indeformati (sono fra le poche rocce valdostane non metamorfiche), e risalgono a circa 30 milioni di anni fa. Se ne trovano degli affioramenti assai più accessibili sul sentiero del vallone di Stolen tra i Piani e Balme Lunge.
La conca dei Piccoli Laghi è un luogo privilegiato, oltre che per il panorama, anche per la geodiversità. Sul lato est del lago grande, verso l’emissario, passa il contatto, per la verità piuttosto sfumato ed incerto, fra le due unità dei Micascisti eclogitici e degli Gneiss minuti, unità affini che si differenziano solo per la più forte retrocessione dei secondi nel grado metamorfico (i minerali eclogitici sono più intensamente ritrasformati). Dal gran lago in su troviamo dunque sempre rocce continentali subdotte, ma con equilibri metamorfici meno profondi: micascisti a clorite con patina rugginosa e gneiss ad albite, quarzo e clorite. Sulla cresta tra il Crabun e la Cima di Prial spunta una lente di rocce molto chiare (“lose bianche”), piuttosto spettacolare nel paesaggio. Si potrà notare che i suoi affioramenti sono attorniati da tipica vegetazione basofila, con astri e stelle alpine. Si tratta di marmi e dolomie localmente ricchi di mica ed altri silicati (calcefiri); blocchi di tali rocce si trovano fin giù in riva al lago.
Conclusione
Ogni unità territoriale delle Alpi, e in particolare della Valle d’Aosta, per quanto piccola ha sempre una sua personalità geografica, geologica, biologica che la rende unica, preziosa, importante. Gli uomini, le comunità che si sono succedute sul territorio hanno quasi sempre saputo interagire in modo simbiotico con questi dati fisici per produrre civiltà alpina. Nel vallone di San Grato l’ecosistema fondato sul pascolo alpino ha trovato elementi fisici favorevoli nella presenza delle due faglie parallele, che sdoppiano il fondovalle svincolandolo sia dallo schema del solco incassato (es. vallone della Forka) che da quello del versante poco inciso (vallone di Stolen). Tutto il corridoio fra le due faglie è disseminato di capolavori di civiltà: gli edifici innanzitutto, ormai conosciuti ed apprezzati, ma anche il sapiente gioco dei disboscamenti, che selezionano i migliori prati irrigui lasciando torbiere e parziali coperture forestali sugli accumuli di frana. La rete degli insediamenti, ancorché quasi mai sotto forma di villaggio, è straordinariamente densa nella fascia di questo fondovalle allargato, e vi si trovano a volte eleganti testimoni della geologia locale sotto forma di rocce e pietre con bei granati nei basamenti e nei muri.
Dunque, osservando il vallone di San Grato con gli strumenti delle Scienze della Terra, una moltitudine di stimoli, di suggestioni, di collegamenti culturali si offre alla nostra mente e ai nostri sensi. Si tratta, è vero, di reazioni umane che possiamo provare sovente al cospetto della natura quand’essa interagisce con la civiltà alpina. Ma la qualità del dialogo fra il buon osservatore ed il territorio dipende strettamente dal tipo di intervento umano che si è sedimentato sul territorio stesso. Se è vero che l’assenza di intervento impoverisce il territorio alpino, è anche vero che l’intervento sbagliato ne distrugge le potenzialità culturali e quindi turistiche. Nel vallone di San Grato le potenzialità sono particolarmente alte, dato l’alto livello di qualità architettonica, la struttura fisica del vallone, la sua geodiversità. Tutto è legato, e nella civiltà tradizionale tutto è stato valorizzato in modo equilibrato. Applicare nuovi criteri di sfruttamento delle risorse territoriali è operazione delicata. Non sempre le iniziative che il mercato globale ci propone si inseriscono in una dinamica positiva di progresso equilibrato. Il concetto stesso di progresso si è perso nelle nuove categorie della globalizzazione: si va alla cieca alla ricerca di sterili efficienze contabili, che si rivelano dolorose per l’economia e l’occupazione. Prima di adottare impulsivamente tali modelli, prima di sbancare, sradicare, sterrare, ci sembra opportuno riflettere alla compatibilità di tali azioni con l’equilibrata saggezza del territorio quale ci è stato lasciato dai nostri padri. Nel territorio valdostano è racchiusa la parte migliore della creatività storica dei suoi abitanti. Anche se ora non sappiamo più incrementarne il valore culturale, facciamo almeno fruttare quel che c’è nel modo giusto.