Occhieggiano qua e là in posizione elevata, a volte panoramica, a volte in mezzo ai boschi. Trappole improvvise, profonde e misteriose, nella montagna valdostana percorsa dai cercatori di funghi. Certo, i dirupi non mancano sui versanti della regione, ma qui assistiamo alla nascita del dirupo, quando la terra inizia a spaccarsi ma c’è ancora roccia sia di qua che di là della spaccatura. Con un salto sovente si può attraversarli: son larghi da pochi centimetri a qualche metro, a volte si allargano sotto la superficie. La fenditura corre per lo più orizzontale, seguendo le curve di livello, e sprofonda nel buio della montagna. Nessun crollo è ancora visibile, tranne qualche masso in mezzo alla trincea. Questi crepacci vengono descritti nella letteratura scientifica come solchi di allentamento che deformano il versante, tagli verticali che dislocano il pendio all’inizio di un dissesto. Dissesto che può fermarsi lì per qualche migliaio di anni, età massima dei nostri crepacci. Sicuramente nel dialetto locale ci sarà una parola per indicarli, ma l’italiano preferisce ignorarli. Incredibile quanto è povera la nostra lingua per descrivere il territorio, e le conseguenze non son da poco. Complice l’inadeguatezza linguistica, sottovalutiamo i segnali che ci giungono dal nostro ricchissimo paesaggio, segnali che indicano esigenze ed opportunità, pericoli e risorse, ma che necessitano di strumenti culturali per essere recepiti. I geologi chiamano trench queste aperture beanti, ché tanto è in inglese che se ne discute fra scienziati.
E di discussioni ce n’è da fare per dare un senso a questi abissi domestici e sornioni. Molti si aprono appena sotto la linea di cresta, a volte determinando veri e propri sdoppiamenti della cresta stessa. Formano paurosi precipizi solo se il versante si trova in una particolare situazione, detta di DGPV (deformazione gravitativa profonda di versante), legata probabilmente all’azione di una faglia sottostante. La faglia sbriciola la roccia in profondità creando delle condizioni (volumi vuoti, circolazione di fluidi, minor coesione…) che destabilizzano la massa rocciosa sovrastante. È possibile che una sequenza di trench segni in superficie il luogo in cui in profondità si passa da roccia stabile a processi di tipo DGPV. I versanti in DGPV sono diffusi in Valle d’Aosta, e ne caratterizzano fortemente il paesaggio a partire dalla deglaciazione (circa 15000 anni fa).
Altri trench si formano a mezza costa per assestamento di grandi corpi di frana, legati o no ad una DGPV.
Un trench? Facciamo finta di niente…
Con le notevoli eccezioni che vedremo, la maggior parte di questi trench si spalanca silenziosa e indisturbata in totale anonimato. Li troviamo su lembi di terreno che nessuna comunità umana ha mai tentato di antropizzare, su distese irregolari di grandi massi spigolosi, coperte da un bosco arcigno ed intricato che solo in periodi storici particolari è stato utilizzato. Così infatti si presentano, in certe circostanze, i versanti in dissesto profondo. Se una strada passa nelle vicinanze, nulla invita a deviare due passi per ammirare il trench nascosto lì in agguato. Solo lo stregone del villaggio è autorizzato ad aggirarsi fra le forre, per capire se la prossima frana si avvicina…
Dato che in Valle d’Aosta non si sono ancora potute svolgere indagini archeologiche sistematiche sui ripari sotto roccia, non possiamo dire se i trench siano stati utilizzati in passato dalle comunità umane. Speriamo che tali ricerche trovino posto fra i mille progetti di questa regione così ricca di testimonianze antiche. In tale attesa, si può notare che molte DGPV presentano il fenomeno dei soffi di aria fredda (sfruttati nei “balmetti” per conservare al fresco le provviste alimentari) che sono presenti in taluni trench dove per tradizione si attrezzano le “borne de la ghiassa” con lo stesso scopo. Si tratta di accumuli di neve, naturali o riportati, che si mantengono tutto l’anno congelati sul fondo di alcune fessure in roccia grazie alle basse temperature dell’aria ivi circolante.
Vollein, l’apoteosi preistorica del trench
Infine, è da ricordare il più celebre e, vivaddio, studiato sistema di trench valdostano: quello della “necropoli” di Vollein, in Comune di Quart. Il reticolo di trench che percorre il sito, ben allineato a quadrettare il terreno, crea un’area di sprofondamento delimitata ad est da una grande parete verticale, sulla quale sono tracciate alcune vie di arrampicata. Lo sprofondamento, di una quarantina di metri, si misura sull’altezza della parete rimasta in piedi.
L’area depressa, una conca pianeggiante larga diverse centinaia di metri, è coperta da una distesa di grandi blocchi rocciosi separati da più o meno stretti passaggi interstiziali. Su blocchi contrapposti le superfici sovente corrispondono, magari a livelli leggermente diversi, e a volte sono tagliate “a specchio”, come avviene per lo scorrimento istantaneo della roccia lungo un piano di faglia. L’insieme delle rocce fratturate ha subito dunque un modesto dislocamento, compatibile con la presenza di fasci di faglie e con la quarantina di metri di discesa ipotizzata all’inizio. In particolare il gran blocco centrale mostra ancora nell’orientamento originale la superficie levigata dal ghiacciaio quaternario. Malgrado gli studi sulle DGPV e in particolare sul sito di Vollein parlino di “movimenti lentissimi”, mi pare difficile escludere che la disposizione attuale sia dovuta ad un crollo, breve ma violento, per cedimento strutturale profondo, crollo che può spiegare al meglio la fratturazione in superficie della massa rocciosa. Il dissesto di Vollein si inserisce infatti nella parte bassa di un vasto versante in frana di tipo DGPV, che inizia già nei pressi del castello di Quart e si protende fin verso i valloni di Saint-Barthélemy. La massa di roccia fratturata fluisce attualmente verso il basso a velocità comprese fra 4 ed 8 mm/anno, misurate sulle gallerie industriali che la attraversano: su tali valori di spostamento si fa presto ad accumulare, ai lati o su singoli punti di resistenza, un dislivello che può poi venir recuperato con un crollo violento.
A valle del sito archeologico si apre, in direzione SW, la nicchia di distacco di una frana successiva, che ha interessato la parte più esterna del grande accumulo in DGPV.
Nell’area archeologica, le spaccature creano corridoi coperti e viottoli scoperti, mentre i trench principali simulano grandi boulevards. Le possibilità di difesa di un tale sito appaiono ottimali. Il tutto suggerisce l’idea di un villaggio preistorico di cui però non sono state trovate tracce insediative, non si sa se per ricerche insufficienti, per crolli già avvenuti o perché proprio il villaggio non c’è mai stato. Per ora solo le tombe, alcune decine, testimoniano di presenza umana in epoca neolitica, mentre le numerose incisioni rupestri, per quanto presumibilmente coeve, non danno garanzia di datazione.
Bibliografia minima su Vollein
Giardino M. (1995) – Analisi di deformazioni superficiali: metodologie di ricerca ed esempi di studio nella media Valle d’Aosta. Tesi di dottorato, Dipartimento Scienze della Terra, Università di Torino, 234 p.
Mezzena F. (1997) – La Valle d’Aosta nel Neolitico e nell’Eneolitico. In Atti della XXVIII Riunione Scientifica IIPP, Firenze 385-398.
Daudry D. (2001) – Il territorio di Quart dalla Preistoria all’anno mille. In Bulletin d’Etudes Préhistoriques et Archéologiques alpines XII 23-46.
Giardino M., Martinotti G., Mezzena F. (2005) – Dynamique géomorphologique et évolution d’un site archéologique (Nécropole de Vollein). In: Le Quaternaire des vallées alpines, AFEQ-CNRS, 97-113.
Molto interessante adesso cerco stampare il tutto io preferisco sempre il cartaceo ciao a ptesto