La scoperta in alta quota degli ultimi disperati episodi di resistenza delle popolazioni alpine sottomesse da Roma getta una luce inaspettata su momenti cruciali della Storia antica, nonché sulla vita in ambiente alpino all’età del ferro. Sempre che gli studi archeologici vengano finalmente a confermare quanto appare all’osservazione esterna…
Già abbiamo dato conto del reperimento, in Valle d’Aosta, dei resti di un gruppo omogeneo di 11 villaggi in quota, con spiccate caratteristiche di localizzazione e tipologia, che ne suggeriscono una unica, precisa funzione: quella di ultimo tentativo per la comunità alpina di sopravvivere alla conquista romana con i propri valori e le proprie tradizioni, nascondendosi in luoghi elevati, difficili e fuori mano. Successivamente ne abbiamo descritto alcune opere difensive collegate.
Ora sotto la guida di Joseph-César Perrin abbiamo visitato un altro sito che candidiamo senz’altro a far parte del gruppo dei villaggi in questione, e che descriviamo brevemente qui di seguito.
Si trova in Valsavarenche sul versante sinistro idrografico, a 2630 m, raggiungibile con percorso abbastanza impegnativo di diverse ore dall’altro villaggio di questo settore in Val di Rhêmes, senza che vi sia collegamento visuale fra i due.
Come e ancor più che il suo gemello in Val di Rhêmes, questo nuovo villaggio si trova in una zona attualmente assai conosciuta ed accessibile, su di un sentiero frequentato da pastori e turisti. Questo non è assolutamente il caso, come già detto, degli altri dieci villaggi, e ciò rappresenta in effetti un elemento di incertezza che va discusso.
Altro elemento di somiglianza con il villaggio vicino, e di assoluta differenza con tutti gli altri, è la presenza di acqua, qui particolarmente abbondante in un laghetto e in un vicino torrente.
Questi elementi di maggiore vivibilità sono forse in parte compensati dalla posizione geograficamente assai più periferica rispetto agli altri dieci villaggi.
Nella tipologia urbanistica il villaggio è pienamente conforme allo schema generale: una ventina di capanne grandi e piccole a pianta in genere rettangolare arrotondata o quadrata quasi circolare, che si adatta ad eventuali massi in loco. I muri sono alti al massimo poco più di un metro, costituiti da blocchi maneggiabili (a fatica) da un uomo solo, mentre il pavimento interno è a clasti più piccoli, sempre a spigolo vivo. Solo elemento anomalo, una bassa muraglia rettilinea che divide il villaggio in due, alla quale sono addossate alcune capanne. Non vi sono casi di muraglie in mezzo agli altri villaggi.
Anche nell’inserimento ambientale il villaggio è conforme allo standard, e infatti per vederlo bisogna esserci sopra. Esso si annida in una depressione allungata a grondaia, costituita da una inversione di pendenza del versante al contatto fra le bancate di gneiss occhiadino del Gran Paradiso, dolcemente immergenti a reggipoggio (nord-ovest), e le sovrastanti metabasiti del Complesso piemontese, più erose e arretrate. Il contatto orizzontale è inoltre detritico per uno spessore di qualche decina di metri, determinando così un terrazzo strutturale che corre lungo tutto il versante fra due valloni. Lungo questo terrazzo è tracciata una parte dell’itinerario di collegamento fra i due villaggi vicini.
Con questa scoperta viene ancora ribadito il carattere di episodio storicamente breve e ben circoscritto per l’insediamento in questi villaggi, a conclusione di una esperienza che verrà presto cancellata dalla memoria collettiva. Giova a questo punto ricordare gli scavi e le accurate analisi effettuate da archeologi svizzeri su resti di costruzioni in Vallese che richiamano in parte queste valdostane (“Mur dit d’Hannibal”). La raccolta di reperti in occasione di quegli scavi fu imponente, tale da permettere non solo ripetute datazioni al 14C, ma anche cronologie su manufatti metallici ben conosciuti, come i chiodi da scarpe. La costruzione di quegli edifici mostra età radiometriche che si sovrappongono tutte nell’intervallo dal 40 a. C. all’anno zero, confermando indirettamente le nostre ipotesi. Invece la frequentazione (romana o romanizzata) del sito in Vallese si prolungherebbe più o meno saltuariamente fino al secondo secolo d. C., in netto contrasto con quanto avviene da noi. Infatti reperti metallici non sono stati rinvenuti nei due siti valdostani sottoposti a metal detector, se si eccettuano alcune monete romane di epoca repubblicana. Ciò può essere interpretato come conseguenza di un utilizzo più specifico e più limitato nel tempo dei nostri insediamenti, con funzione esclusivamente di fuga subito finita male.