“Ruderi di capanne, ricoveri di una notte per pastori o cacciatori” mi rispondeva mia nonna quando, passando davanti ad una serie di piccoli recinti in pietra, le ponevo petulanti domande, una sessantina di anni fa. Per parte mia, ero un po’ deluso che quei muretti a secco fossero così bassi e malandati da non potercisi neanche nascondere dietro e giocare agli indiani.
Non che ora se ne sappia molto di più. Un rilevamento archeologico è in corso, ed è già ad uno stadio avanzato nel caso dell’insediamento ai piedi del Tantané, con la prospettiva di estendere i lavori mediante scavi sistematici agli altri siti, crisi permettendo. In attesa di una parola autorevole sulla questione, mi permetto qui di divulgare quella parte di riflessioni che un semplice escursionista, mettendo insieme osservazioni ed informazioni, può aver rimuginato nel tempo riguardo agli antichi insediamenti d’alta quota.
La tipologia dei manufatti
Per quanto l’operazione di sovrapporre pietra su pietra fino ad edificare un basso muretto a secco sia un gesto quanto mai banale ed universale, gli antichi insediamenti d’alta quota sono piuttosto ben identificabili per la loro struttura originale, rispetto alle trune dei cacciatori o ai ricoveri di fortuna dei pastori. Questi ultimi due tipi di manufatti in Valle d’Aosta sono scarsi; i primi sorgono in contesti ambientali diversi, e i secondi danno luogo ad altre forme ben conosciute.
In effetti tutti gli antichi insediamenti in quota presentano oggi, nella loro rovina, una straordinaria uniformità. Le dimensioni in pianta di ciascuna cella sono più o meno sempre le stesse. La loro forma è quasi sempre rettangolare con poca differenza fra i lati, e gli spigoli sono smussati. L’altezza del muro rimasto più i blocchi presumibilmente caduti dal muretto danno sempre un’altezza intorno al metro. Non vi è traccia di copertura, che doveva essere fatta di materiale deperibile. La maggior parte delle celle sta addensata ma c’è quasi sempre una serie di costruzioni disperse intorno, sovente di forma un po’ diversa. Anche in assenza di scavi, sembra possibile identificare dei focolari all’interno di alcune celle. Non vi è mai una cella visibilmente più grande o più bella delle altre.
Per quanto l’insieme delle capanne, se di capanne si tratta, possa sovente far pensare ad una popolazione relativamente numerosa, una cinquantina di persone almeno, forse molte di più, non è individuabile alcuna struttura urbanistica che possa definire l’insediamento un villaggio. Parimenti, e data la quota non c’è da stupirsene, non sono individuabili aree produttive, per cui è da mettere in conto un sistema di rifornimenti dal basso, almeno per una parte delle necessità di base.
Localizzazione geografica e topografica
A parte la quota, sempre superiore ai duemila metri, non sembra vi siano evidenti anomalie o preferenze nella distribuzione territoriale degli insediamenti. Sembrano comunque scarseggiare in bassa Valle. Inoltre, cosa d’altronde non troppo strana data la quota, molti di essi si trovano in contatto visivo fra loro.
A scala di maggior dettaglio invece intervengono precisi criteri di localizzazione. Il sito scelto gode sempre di una vista eccezionalmente panoramica. Ma soprattutto l’insediamento è sempre piazzato all’interno di una superficie negativa (concava) del versante: una contropendenza, uno sdoppiamento di cresta o almeno una spianata sommitale. A tutt’oggi, come vedremo, questo dato risulta il più significativo per dare un’interpretazione storica agli antichi insediamenti d’alta quota.
La difficoltà di accesso risulterebbe invece avere un ruolo secondario: sembra un particolare gradito ma non determinante.
Un dato sconcertante è rappresentato dalla scarsità di risorse in loco. Se la disponibilità di foraggio, ora quasi sempre assai ridotta, può non essere considerata un elemento significativo dati i cambiamenti climatici intervenuti, non altrettanto si può dire dell’acqua, che risulta quasi sempre assente o di difficile approvvigionamento. Anche il legname, data la quota, doveva essere comunque scarso. Risorse minerarie non sono quasi mai presenti, e dove teoricamente un giacimento sarebbe stato sfruttabile non è reperibile alcun segno di coltivazione né di metallurgia.
Qualche tentativo d’interpretazione
Alcuni oggetti sono stati rinvenuti negli insediamenti anche senza approfondite indagini archeologiche: una moneta di epoca romana, un attrezzo da telaio, delle ceramiche. Sembra dunque che vari gruppi di persone abbiano soggiornato per periodi più o meno lunghi negli insediamenti in quota con occupazioni di vita quotidiana. Ciò deve essere avvenuto in un periodo preciso, uguale per tutti gli insediamenti, e la causa deve essere stata la stessa per tutti gli insediamenti. Le condizioni di vita dovevano essere al limite del proibitivo, per cui il soggiorno doveva essere forzato. L’assenza d’acqua fa pensare ad una situazione di grande emergenza, con la priorità di far perdere le tracce. La posizione elevata degli insediamenti, con possibilità di sorvegliare a vista un vasto territorio, ma assolutamente invisibile dal basso entro conche e contropendenze, evidenzia una condizione di fuga da un pericolo che domina a bassa quota. In alcuni insediamenti si rilevano altri dettagli che corroborano questo quadro:
– delle grotte protette da massi in posizione di sentinella verso la valle;
– una muraglia artificiale stesa di traverso sul lato più accessibile;
– postazioni di osservazione.
Purtroppo l’umanità, anche qui da noi, è stata spesso capace di creare tali condizioni conflittuali, il cui esito era la morte o qualcosa di peggio. Basti pensare alle persecuzioni di cui furono vittime gli eretici dolciniani nel XIII-XIV secolo, che diedero luogo a “soggiorni in quota” per certi versi simili a questi. Per il momento però i dati sembrerebbero indirizzare verso il periodo della conquista romana: avremmo finalmente trovato un contesto concreto per inquadrare sia le scarne iscrizioni “burocratiche” (Salassi incolae qui initio se in coloniam constituerunt patrono) sia le indicazioni di scrittori più o meno attendibili o ben interpretati, che accennano allo sterminio dei Salassi e alla loro vendita come schiavi sul mercato di Ivrea (Strabone).
Quale che sia la verità storica, è una grande emozione lassù sotto la luce dei grandi cieli alpini, nel silenzio raccolto di conche sospese, imbattersi nella tragedia di comunità minacciate che tentano, in condizioni disperate, di vivere e far vivere ancora i propri valori.
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Ottimo articolo. Grazie. GM.