“Rosso rubino” è il colore del vino Nebbiolo DOC di Donnas secondo la sua etichetta. Ma anche molte delle pietre fra cui spuntano le sue vigne sono, per così dire, “a bacca rossa”.
Infatti nei vigneti a monte del capoluogo scuri blocchi di roccia bluastra ingombrano il terreno in modo inverosimile, saggiamente ordinati in muretti e ripari che riverberano il calore solare. E nella massa bluastra spiccano con frequenza le nostre bacche rosse, che ad un esame da vicino (sezione esagonale…) si rivelano essere cristalli di granato.
Il legame è sempre forte fra la vite ed il suo terreno, per cui un’influenza dei minerali eclogitici (quelli di cui sono costituite le nostre pietre a granato) sulla qualità del vino non è da escludere. Ma come mai i vigneti di Rovarey e del torrente Bellet crescono fra queste nobili pietre a granato, mentre tutt’intorno affiorano rocce diverse? La risposta sta nelle vicende antiche del territorio.
La vita dei Comuni valdostani non è un lungo fiume tranquillo. Il loro territorio sovente si modella su una serie di travagli geomorfologici postglaciali, e continua ad essere trasformato dalle forze interne ed esterne del Pianeta. Vediamo dunque il caso di Donnas, che nasce da due catastrofi principali.
La prima è una Deformazione Gravitativa Profonda di Versante (DGPV), che interessa tutto il pendio all’adret da Albard a Perloz. Si è verificata dopo la deglaciazione, quindi non prima di 15’000 anni fa, ma prima di qualsiasi testimonianza archeologica riconosciuta. Ha comportato l’abbassamento della massa rocciosa per svariate decine di metri lungo la nicchia di distacco sotto al Mont de Beuby. Nel suo assestamento ha prodotto un intero versante tutto fratturato in blocchi rocciosi a spigolo vivo, affastellati con molti vuoti fra loro, condizione ideale per ricavarci i famosi barmet (ripostigli sotto roccia).
Gli spazi fra i blocchi rocciosi impediscono qualsiasi reticolo idrografico, e instaurano una circolazione d’aria in profondità, con frequenti sfiati freddi. La distesa sassosa è ora colonizzata dal castagno grazie al consistente apporto meteorico, mentre la fascia basale ospita i vigneti su scenografici terrazzamenti.
La seconda catastrofe è posteriore alla prima perché la ricopre in parte. Si tratta di una grossa colata detritica, detta debris flow dagli addetti ai lavori, costituita di massi e pietre che scivolano giù veloci in una massa imbevuta d’acqua. Così si è formato tutto il conoide su cui sorge il capoluogo di Donnas.
È possibile che il pietrame sia sceso a diverse riprese. Infatti le vigne (parte alta del conoide) sembrano ricoperte da colate di pietre relativamente recenti, mentre nell’abitato (parte bassa) non risultano visibili zone di accumulo, salvo forse le strane “gobbe” della strada medievale (sul tracciato di quella romana). Rimane però la memoria di antiche distruzioni nella parte urbanizzata (in particolare Tréby) e soprattutto rimane la documentazione di cinque frane nelle vigne a partire dal 1831 (la “débâcle du Bellet”) fino al 1868. In conclusione una prima eventuale colata potrebbe risalire ad epoca preromana, mentre sono probabili successivi accumuli dalla tarda antichità ai secoli XVI-XVII (zona abitata) e sono attestati più modesti, ma sempre rovinosi apporti in epoca moderna (vigneti).
Le colate provengono da un’unica nicchia di distacco, situata fra le quote 1950 e 1800 m a partire dalla cima della Croix Courma, versante sud-ovest. Ancora attualmente sono visibili le strisciate degli ultimi distacchi.
Il materiale percorre il canalone del Bellet per raggiungere l’apice del conoide fra Artada e Planas. Da lì, in tempi passati, la colata si è espansa verso sinistra (est) coprendo la DGPV in località Rovarey. La discesa in massa acquosa dei blocchi detritici sui 1500 metri del canalone ha un’azione di fresa efficacissima, smussando ogni minimo spigolo. In particolare le anfiboliti a granato, assai compatte, si arrotondano senza rompersi eccessivamente.
I vigneti di Donnas si stendono dunque su entrambi i terreni del versante, ma con modalità differenti.
Lastre e blocchi squadrati di colore marroncino sostengono i terrazzamenti ed i topioun (torrette in pietra a secco) sulla zona DGPV, più acclive, mentre ciottoloni e massi arrotondati accolgono le vigne sul conoide, tra Rovarey e il valloncello del Bellet (verso Bard). Difficile innalzare topioun con le pietre tonde della colata: le viti vengono quindi appoggiate su pali in legno o cemento.
Come già accennato, la roccia che si stacca lassù alla Croix Courma comprende una grossa lente di eclogiti, rocce a minerali di ferro e magnesio che si formano a grandi profondità nella crosta terrestre. Il granato fa parte di questa associazione di minerali, unitamente all’anfibolo blu che rende scura la roccia. Questa lente si trova pizzicata nella cerniera di una piega che deforma i micascisti eclogitici, rocce anch’esse profonde ma ricche piuttosto di quarzo e mica, e quindi più chiare.
Nei dintorni non vi sono altri affioramenti di eclogiti a granato ed anfibolo blu oltre a questo in cima alla Croix Courma. Qualche altro impianto di vigna su suolo eclogitico si trova nel vicino Canavese, in particolare ad Ivozio di Borgofranco. Nel mondo penso non ce ne siano molti altri.
Qualche indicazione bibliografica
- Mercalli L., Cat-Berro D. (coord.) (2003) – Atlante climatico della Valle d’Aosta. Società Meteorologica Subalpina, Torino.
- Cita M.B., Chiesa S., Massiotta P. (2001) – Geologia dei vini italiani – Italia settentrionale. BeMa editrice, Milano.
- Charles T., Dalle I., Nicco R. (1983) – Donnas. Imprimerie Duc, Aosta.