Coppelle, tafoni, marmitte: il mistero aleggia su tutti i tipi di buchi nella pietra. Nessuno ha mai visto come vengono prodotti, e se l’ha visto non se ne è reso conto o non l’ha raccontato in giro.
Concentriamoci sulle marmitte. Tutti (forse) abbiamo visto qualche mulinello al bordo di un torrente, in cui pigramente ruotavano foglie o sassolini: ebbene queste NON sono le marmitte dei giganti, almeno non quelle di cui vogliamo parlare.
In effetti quando l’acqua di un torrente scorre su di una roccia compatta la erode in modo non omogeneo, creando sporgenze e rientranze più o meno arrotondate, tendenti a conca svasata. Ma tutto finisce lì, il solco torrentizio si approfondisce altrove, e comunque il vortice non può erodere la conca in profondità per l’impossibilità di muovere gli agenti abrasivi (i sassolini) al di sotto di un certo livello dal bordo. Vasche e conche svasate sul bordo dei torrenti, sovente scavate solo da una parte, sono magnifiche per il bagno a ferragosto, ma non sono le marmitte che ci interessano qui.
Esiste infatti un’altra categoria di marmitte dei giganti, e quelle ci fanno sobbalzare per la sorpresa. Cilindriche, poco o nulla svasate, per lo più verticali, più profonde che larghe, le troviamo a volte in prossimità del fondovalle ma sovente ben lontane, in luoghi totalmente inaspettati da chi, come noi, pensa che sia l’acqua a scavarle. Le dimensioni variano da quelle strette (30-40 cm) infilate profondamente nella roccia, a quelle di diversi metri di larghezza e profondità.
In ogni caso, tutte le marmitte dei giganti sono incise su roccia in posto, mai su massi o blocchi staccati.
Per quel che ne so, in Valle d’Aosta le “vere” marmitte dei giganti le troviamo solo in sei-sette siti, alcuni decisamente fuori dai sentieri battuti. Eccone una piccola guida.
Gouffre de Busserailles (Valtournenche)
Si tratta di una zona di fondovalle tra 1650 e 1750 metri di quota, percorsa dal torrente Marmore che vi scava una breve forra profonda, stretta e quasi chiusa, nota e visitabile fin dall’Ottocento. Le marmitte non sono nella forra più stretta ma nei dintorni dello storico albergo, nonché a valle del Gouffre presso il ponte di Moline e l’incrocio con il sentiero proveniente da Crépin, antica strada maestra per il Breuil e la Svizzera. Tutte le tipologie di marmitta vi sono rappresentate.
Sulla riva destra, accanto all’albergo, molte belle marmitte di dimensioni oltre il metro sono abbellite con fiori ed arredi vari. La struttura è cilindrica ad asse verticale, ma diverse variazioni possono essere intervenute movimentando le forme.
Sulla riva sinistra, qualche centinaio di metri più in basso, su un roccione fra i larici appaiono le forme più enigmatiche. L’apoteosi è rappresentata da un perfetto cilindro cavo di una quarantina di centimetri di diametro infilato nella roccia per oltre un metro con asse suborizzontale. Viene qui il dubbio che la parete in cui le marmitte si aprono faccia parte di un enorme blocco staccatosi alla deglaciazione e quindi ruotato rispetto all’orientamento originale. Da verificare con una missione apposita in grado di raggiungere i punti in cui può essersi verificato il distacco.
La roccia in cui sono scavate la forra e le marmitte è una bancata massiccia di serpentinite, silicato idrato di magnesio con magnetite. L’unità di cui fa parte, stesa fra il Vallese e Champorcher, rappresenta, come più volte detto in questo sito, una grossa scaglia di mantello terrestre incorporata e trasformata in seno all’antico fondo oceanico che in epoca giurassica (150 milioni di anni fa) occupava questa parte delle Alpi. Questo tipo di serpentinite, chiamato antigorite, risponde bene allo sfregamento fine dando luogo a superfici lisce e piacevolmente ondulate.
Blanchard (Ayas)
Quasi un complemento del gruppo precedente, la marmitta di Blanchard si apre anch’essa sul fondo di un vallone, ed è incisa in serpentinite. Si trova a breve distanza dal torrente Courtod, alla quota di 1800 m, a lato del sentiero n. 8e che da Saint-Jacques risale il vallone delle Cime Bianche sul lato ovest.
Profonda oltre un metro sul lato a monte, ha un diametro di circa 40 centimetri e una perfetta forma a cilindro con asse verticale.
Revers (Arvier-Valgrisenche)
Ancora un gruppo di marmitte di fondovalle, a quota 1520 m circa, sgranate sulla sponda sinistra assai rialzata del torrente. Vi si accede dalla stradina che porta al villaggio, sulla destra prima di attraversare il ponte.
Si tratta di grosse marmitte cilindriche ad asse verticale, la cui profondità non è facile da misurare perché sempre piene d’acqua e, presumibilmente, di detriti sul fondo. Si arriva comunque tranquillamente al metro, per alcune ben di più.
Sono scavate in una roccia cristallina dalle belle screziature, un micascisto a relitti di granato e cloritoide che tradisce la sua origine dal basamento continentale, probabilmente europeo, e la sua successiva evoluzione alpina ad alta pressione (cioè a grande profondità).
Bionaz
Splendida marmitta solitaria sul bordo della strada regionale n. 28 che porta alla diga di Place-Moulin, sulla sinistra poco a monte del bivio per Chez-Chenoux. Si apre a quota 1705 m sul ripidissimo versante destro della Valpelline, detto anche qui del Salto della Sposa in base alla solita leggenda dei precipizi. Il Buthier scorre ben 150 m più in basso, per cui non può essere considerata una marmitta di fondovalle.
La marmitta ha forma rigorosamente cilindrica ad asse verticale; interessanti alcuni abbozzi di marmitte sul fondo in posizione eccentrica, che fanno pensare ad un assestamento del getto erosivo in fasi successive. La larghezza (diametro basale) è di 1,40 m e l’altezza quattro metri sul lato a monte, mentre sul lato a valle la parete si interrompe a due metri per crolli in parte legati alla costruzione della strada. In tale occasione (inizio anni ’60 del Novecento) il sito fu oggetto di consolidamenti mediante calcestruzzo, e fu dotato di una piccola scalinata di accesso e di un cartello ormai arrugginito ed illeggibile. Ai primi di luglio 2020 ben 1,20 m di acqua si era raccolto sul fondo della marmitta.
La roccia è metamorfica di origine sedimentaria, da materiali originari di una placca continentale surriscaldata e molto arricchita in minerali ferromagnesiaci (paragneiss kinzigitici per chi vuole approfondire). La roccia appartiene all’Unità di Valpelline, un corpo roccioso nato e trasformato nell’era primaria, senza subire radicali modifiche nel corso dell’orogenesi alpina.
Monpey (Champorcher)
La tipologia di queste due marmitte è analoga alle precedenti: cilindrica ad asse verticale, con diametro superiore al metro. Analoga anche l’incertezza sulla profondità essendo piene d’acqua e con accumulo di detriti sul fondo, ma comunque oltre i 70 centimetri. Sul lato a monte l’abrasione risale sulla parete rocciosa, in forma semicilindrica, ancora per un altro metro; questa caratteristica è comune anche ad altre marmitte dei gruppi già visti.
La roccia affiorante in loco è la serpentinite come per il Gouffre e Blanchard. Le forme sono regolari e ben levigate.
Quello che cambia radicalmente rispetto ai gruppi precedenti è la localizzazione. Le due marmitte, distanti qualche metro l’una dall’altra, si trovano a 1830 m di quota sul crinale che separa la valle di Champorcher dal vallone della Legna, alla base del risalto chiamato appunto Monpey. Si aprono consecutivamente su di uno stretto terrazzino roccioso appena sotto il largo crinale. Sono dunque totalmente svincolate dalla rete idrografica di superficie, lontane da torrenti, su di un rilievo dove l’acqua non può scorrere ora e non ha lasciato tracce di scorrimento in passato. Quanto all’azione glaciale, risulta difficile (a noi inesperti) valutare presenza e spessore della copertura in un contesto sconvolto dalla successiva evoluzione postglaciale.
Nonostante queste marmitte (teunne nel parlar locale) costituiscano l’unica riserva d’acqua della zona, nessuna traccia di intervento umano (scalpello, percussione, sfregamento) risulta visibile.
Chadel – Geosito del Ponte Romano (Saint-Vincent)
Nella valle centrale, ma relativamente lontano dalla Dora, troviamo questo complesso a 640 m di quota sopra le gole di Montjovet. Il roccione scuro che svetta fra le case di Chadel è dotato di una grande marmitta grossolanamente emisferica poco sotto alla sommità, orientata verso sud-est, e di un grande abbozzo di marmitta alla base, di cui non vediamo che una parte del bordo. La marmitta principale si apre dunque lateralmente, e in direzione opposta al flusso glaciale che qui ruotava prendendo la direzione sud.
Questo complesso sta alla base di un lungo versante roccioso che si infila, con placche inclinate a franapoggio, sotto la strada regionale per Emarèse. Oltre la strada il versante risale in contropendenza formando il Mont Tsailleun con tutta un’altra roccia, la serpentinite che già conosciamo. Il roccione scuro invece è costituito da un assemblaggio di minerali che si forma solo a grandi profondità nella crosta terrestre, con anfibolo, granato, epidoto e qualche relitto di pirosseno sodico, il minerale della giada. Il materiale, assai duro e resistente, deriva da magmi eruttati o intrusi nella antica crosta oceanica.
La strettoia del Forte (Bard e Donnas)
Diverse marmitte dei giganti, alquanto discoste le une dalle altre, si annidano sulle rocce sporgenti dal fondovalle sulla riva sinistra della Dora presso il suo sbocco nella piana di Donnas. L’orografia particolare della zona, come uno sbarramento al ghiacciaio balteo nella zona in cui la sua massa era maggiore, deve aver influito parecchio sulla produzione delle marmitte. Nessuna di esse, comunque, può esser messa in relazione con corsi d’acqua rintracciabili attualmente, ed anzi prevale la localizzazione in luoghi rilevati e dominanti.
La roccia della zona, di origine da una antica placca continentale, appartiene a quella importante unità dei Micascisti eclogitici che con i suoi minerali ci svela le vertiginose profondità a cui si è inabissata la roccia per poi formare le Alpi. Da est a ovest i minerali eclogitici (cioè quelli creati alla massima profondità), essenzialmente pirosseno sodico e granato, li troviamo progressivamente retrocessi in minerali di media pressione come albite e clorite, registrando così la risalita di tutto il corpo roccioso. Le marmitte che andremo ad esaminare si inseriscono in questa successione di rocce la cui mineralogia risale all’inizio del ciclo alpino, a partire da una sessantina di milioni di anni fa.
Già percorrendo i sentieri (non sempre oggetto di manutenzione) che salgono dalle vigne verso i risalti rocciosi delle Peredrette e del Truc Chaveran, uno sguardo attento noterà bordi semisepolti di grandi marmitte interrate. Noi ci limiteremo a menzionare tre marmitte ben evidenti, con diversi gradi di complessità.
La prima marmitta si apre sulla destra del sentiero della palestra di roccia di Donnas, quello che parte dall’arco romano, a 460 m di quota al primo ripiano sopra l’arrivo delle vie di scalata. Si tratta di una magnifica marmitta a due orifici, uno superiore ed uno laterale orientato a sud-ovest, di forma tra cilindrica ed emisferica. Considerando solo l’entrata superiore, la marmitta può essere considerata del tipo cilindrico ad asse verticale. L’apertura laterale, ora parzialmente fratturata, sembrerebbe il frutto di un successivo diverso orientamento della forza erosiva.
La roccia è composta prevalentemente da quarzo e mica bianca di alta pressione, indicando quindi una origine da materiale altamente siliceo (argilla o granito).
La zona reca interessanti tracce di storica antropizzazione, da monumentali murature a secco a ruderi di edifici, a resti di opere militari seicentesche.
La seconda marmitta, sempre a Donnas, si trova in località Cheverine, poco a valle (sud) del villaggio di Chenail, a circa 540 m di quota. Si presenta sulla superficie rocciosa come un buco cilindrico profondo, normalmente pieno d’acqua, del diametro di circa 40 cm. Altre forme concave di dubbia origine si trovano presso la sommità del rilievo.
La roccia (sempre di micascisti eclogitici si tratta) rivela una composizione più differenziata, con una maggiore proporzione di minerali ferromagnesiaci, essenzialmente clorite.
Continuando (ovest) a risalire la dorsale, a breve distanza si trovano i ruderi di un antico insediamento, forse preromano.
La terza marmitta, in Comune di Bard, non ha quasi bisogno di presentazioni, essendo sovente oggetto di visite guidate e non. Larga 4 metri e profonda 7, si apre in cresta alla panoramica dorsale rocciosa che si protende verso lo sbocco vallivo (est) in prolungamento del risalto del Forte. La sua posizione è quindi di fondovalle ma elevata a quasi 400 m di quota, contro i 330 m della Dora.
La forma, sostanzialmente cilindrica ad asse verticale, è leggermente meno regolare delle consorelle più piccole, ed è da notare un leggero smussamento erosivo dei bordi.
La roccia in cui la marmitta è inserita fa sempre parte dei Micascisti eclogitici, ma qui la risalita del corpo roccioso verso la superficie, iniziata come detto 65 milioni di anni fa, ha lasciato impronte evidenti. Corpi silicei e corpi ferromagnesiaci della roccia originaria si sono “impastati” in alternanze di livelli più chiari e più scuri, piegati e ripiegati gli uni sugli altri, alcuni contenenti più mica, quarzo e plagioclasio, altri con più clorite. Queste deformazioni intense e spettacolari si possono seguire anche in tre dimensioni nella sezione di roccia rappresentata dalla marmitta.
Tutto il rilievo su cui sorge la marmitta è stato indagato dagli archeologi per la presenza di una enigmatica incisione lineare e di numerose tracce assai consunte di coppelle ed altri segni simbolici. Alcuni manufatti legati alla gestione del forte sono pure presenti.
Qualche timida ipotesi sulla loro formazione
Abbiamo visto che le conche nei torrenti sono il prodotto di una lenta fresatura della roccia ad opera di un abrasivo, in particolare frammenti di altra roccia: sabbia, ghiaia, blocchi di detrito. L’abrasivo è messo in movimento dall’acqua del torrente.
Per produrre invece le nostre marmitte profonde, strette, cilindriche e lontano dai torrenti bisogna introdurre qualche variante al processo precedente.
Innanzitutto la direzione della forza abrasiva deve essere verticale: il getto d’acqua con i suoi sassolini deve cadere dall’alto.
Inoltre, per tutto il tempo dello scavo della marmitta, il getto d’acqua deve rimanere nella medesima posizione.
A questo punto, considerato lo scarso legame delle marmitte in questione con i torrenti, non resta che pensare ai ghiacciai. In effetti, durante le fasi di ritiro, nella massa glaciale si possono formare degli inghiottitoi che convogliano alla base l’acqua superficiale di fusione. In questi casi il getto d’acqua, ricco di frammenti litici, può impattare con forza la roccia alla base del ghiacciaio. In effetti l’acqua nel camino è sotto pressione per lo spessore del ghiacciaio.
Una forte pressione del getto d’acqua è necessaria perché lo scavo della marmitta, nel punto di impatto, avvenga rapidamente. Se lo scavo non avvenisse rapidamente, il movimento di scorrimento della massa glaciale, peraltro rallentato nelle fasi di ritiro, sposterebbe il getto d’acqua e la marmitta ne verrebbe deformata o abortita. Naturalmente il sistema ha un certo grado di elasticità giocando fra pressione del getto d’acqua e velocità di scorrimento della massa glaciale.
Forse un riscontro a quanto sopra viene proprio dall’ultima marmitta descritta, quella di Bard, che potrebbe essere leggermente più vecchia delle sue consorelle e risalire ad un periodo in cui il ghiacciaio balteo, prima del ritiro, si muoveva ancora. In effetti osserviamo due particolarità: da una parte un prolungamento dello scavo nel senso di scorrimento dell’antico ghiacciaio, con conferimento all’orificio di una forma un po’ a mandorla; d’altro lato osserviamo una modesta abrasione dei bordi della marmitta, imputabile al proseguimento dello scorrimento del ghiacciaio sul fondo ancora per qualche tempo.
Conclusioni
Se queste ipotesi sono fondate, le marmitte dei giganti, lungi dall’essere simbolo di quotidiana perseveranza (gutta cavat lapidem…), rappresentano una concentrazione di energia in un momento eccezionale della storia alpina, la fusione dei suoi giganteschi apparati glaciali.
Situazioni analoghe ve ne sono attualmente nel mondo. Sarebbe interessante sapere se sotto alle masse glaciali della Groenlandia o dell’Antartide, destabilizzate dal riscaldamento climatico, si stanno creando nuove gigantesche marmitte…
Come sempre Complimenti, per la descrizione.
belle foto e descrizioni molto interessanti,speriamo presto di ritornare sui monti. Grazie
Molto interessante
Magnifica passeggiata virtuale, grazie.
Ne segnali anche in luoghi che conosco e dove non sapevo ci fossero. Spero di poterle andare a cercare prima o poi.
Bravo come sempre. Anche se in ritardo ti faccio i migliori Auguri di Buona Pasqua. Speriamo che il Covid non ostacoli ulteriormente le tue ricerche. Grazie CIAO
Grazie, molto interessante.