In Comune di Gressoney-La-Trinité, a quasi 3000 metri sul Monte Rosa, si apre questa miniera d’oro che si rivela un vero tesoro di informazioni storiche e antropologiche.
Come e perché la miniera
Il giacimento fa parte di quella collana di mineralizzazioni aurifere attorno al Monte Rosa che interessa le valli di Macugnaga (Pestarena), Alagna (Kreas) e la valle d’Ayas (Bechaz e Chamousiraz). Tali mineralizzazioni sono da riferire all’intensa circolazione di fluidi silicei e relative fratture innescate dalla messa in posto della falda cristallina del Monte Rosa a partire dall’Oligocene (circa 30 milioni di anni fa). Una di queste grandi fratture oligoceniche riempite di quarzo dà spettacolo sull’ultimo tratto del sentiero che sale dall’Alpe Indren all’edificio minerario (“Baraccone”) nel piano sottostante la miniera.
Attualmente (2019) della miniera è visibile l’imbocco principale a 2995 m al piede della roccia dello Stolenberg, alla base di una grande frattura verticale. Lo si raggiunge più comodamente dall’alto, dal Colle delle Pisse con una traccia di sentiero nella pietraia. A proprio rischio e pericolo è possibile inoltrarsi nella galleria per una trentina di metri o poco più. La galleria sfonda verso l’alto seguendo la frattura nella roccia. La frattura doveva corrispondere ad un livello mineralizzato a pirite aurifera entro gneiss e micascisti granatiferi a fengite, rocce a metamorfismo polifasico (antealpino poi alpino) derivanti da sedimenti più antichi. Ai lati dell’imbocco sono incluse nella roccia spesse lenti di eclogiti ad anfibolo blu (Zona di Furgg auct.).
Pochi fori da martello pneumatico indicano uno sfruttamento protrattosi nella prima parte del secolo scorso. Non vi è attualmente traccia di discariche, malgrado qualche testimonianza contradditoria (Gregori, 2003): tutto il materiale estratto doveva venire evacuato e trasportato a valle (al Baraccone sottostante la miniera, poi all’Alpe Indren) tramite il ben tracciato percorso minerario di cui restano discontinui indizi. Le successive operazioni a caldo (distillazione, poi eventualmente fusione) avvenivano presso la storica abitazione della famiglia Vincent (Vénzenz) a Ondre Chachtal in Comune di Gressoney-Saint-Jean.
Come e dove si lavorava
Come accennato, a valle della miniera alla quota 2914 m in posizione riparata e sicura, sorge un solido ed articolato edificio minerario interamente in pietra a secco, chiamato dai Vincent il “Baraccone”, che sfrutta a fini architettonici la struttura a lastroni della roccia. La copertura è ora in gran parte crollata ed ostacola il rilevamento nei vani di eventuali attrezzature o altri manufatti. Il fabbricato serviva da laboratorio e da alloggiamento per il personale della miniera. Vi si eseguiva con ogni probabilità una prima frantumazione e cernita del materiale della miniera, anche se non sono evidenti cumuli di scarti. Piccole quantità di roccia mineralizzata e frantumata occupano comunque ancora il fondo di alcune cavità su massi sparsi. Negli immediati dintorni si riconoscono altri interventi che adattano il terreno ed i blocchi in detrito ad usi strumentali (ancoraggi, cavità, supporti) o di insediamento (ripari).
Poche decine di metri a nord, sulla stessa spianata alluvionale, si apre uno scavo verticale profondo qualche metro, troppo breve per essere definito trincea, protetto da tre lati dai resti di un muro a secco di altezza variabile fino a un metro e mezzo. Il lato sud dello scavo, e parzialmente quello nord, sono costituiti da pareti verticali di roccia in posto. I blocchi in detrito, presumibilmente estratti dallo scavo, sono tutti più o meno mineralizzati a solfuri, in particolare pirite in globuletti e masserelle sottili. Lo scavo sembra approfondito o comunque rimaneggiato di recente. Questo punto (2915 m), e non l’imbocco soprastante, è segnato sulla Carta regionale col simbolo della miniera dismessa.
Più in basso, ai 2540 m dell’Alpe Indren, due edifici, uno piccolo ristrutturato ed uno grande ora in rovina, hanno accolto, almeno per un certo periodo, le principali lavorazioni sul materiale della miniera. In particolare sono o sono state visibili in sopralluoghi recenti tre macine da mulino più una “di riserva” mai usata, una delle quali saldata all’albero in ferro (verifica personale) e un’altra incisa delle iniziali N. V. (Nicolas Vincent) e datata 1814 (Lombardo 2015). Quest’ultima secondo certe testimonianze (Gregori, 2003) costituirebbe il cosiddetto “mulinone” per la frantumazione del materiale grezzo di miniera in sabbia grossolana; altrove la frantumazione si faceva già con frantoi a ganasce.
Appena a monte dell’edificio superiore è scavata una vasca alla quale giunge un canale orizzontale con presa sul torrentello che scende dalla miniera. L’opera idraulica lunga circa 250 m è inattiva da tempo ma i lavori di derivazione sono in buono stato e rapidamente attivabili.
Il processo di estrazione
La coltivazione della miniera in sé non comportava disagi particolari, ma enormi erano gli ostacoli determinati dalla quota. Il processo di estrazione dell’oro dalla roccia poi era piuttosto laborioso, con una larga parte fatta a mano. A grandi linee tale processo può essere sintetizzato a partire dalla pirite aurifera nel modo che segue.
- I blocchi contenenti pirite vengono staccati e discesi al Baraccone sotto la miniera.
- Qui vengono già in parte frantumati a mano e selezionati, poi caricati sui muli (o nelle gerle dei portantini) e discesi all’Alpe Indren.
- Il materiale viene ridotto a sabbia grossolana nel “molinone” per essere poi passato ai cosiddetti “molinetti”.
- I molinetti dell’Alpe Indren sono dotati di macine in roccia quarzitica. La ruota inferiore, più grande (circa h 60 cm x Ø 50 cm) e assai incavata, viene riempita con acqua. La ruota superiore è fissata all’albero fatto girare dalla forza idraulica. La macinatura viene regolata molto fine.
- Al fango ottenuto si aggiunge qualche decilitro di mercurio.
- Quando il mercurio si è ben amalgamato (si sente dalle vibrazioni della ruota), si fa arrivare acqua corrente per un lavaggio che elimina il fango sterile. Poi si scarica tutta l’acqua, e rimane uno strato di mercurio con impurità.
- Il mercurio viene trasferito in un recipiente per ulteriore lavaggio facilitato dalla densità del materiale utile che resta in fondo.
- Il mercurio pulito viene pressato in un filtro, in genere una pelle scamosciata. Il mercurio puro esce e viene recuperato; resta nel filtro un nucleo di amalgama.
- I noduli di amalgama vengono raccolti e distillati a caldo (probabilmente giù a Chachtal di Gressoney St-Jean) con recupero ulteriore del mercurio.
- L’oro residuo contiene ancora impurità che vengono eliminate per fusione, forse ancora a Chachtal di St-Jean. La fusione finale (1064°C) viene di norma più proficuamente demandata a centri specializzati esterni che vi recuperano anche platino e altri minerali utili.
Stando ai documenti, la coltivazione della miniera inizia nel 1786 e si esaurisce con la prima guerra mondiale. Il periodo di più regolare attività corrisponde alla gestione della famiglia Vincent di Gressoney St-Jean dall’inizio agli anni ’20 del XIX secolo. Durante questo periodo furono anche esplorati e coltivati altri siti nei dintorni, tra cui la zona di Bors sul versante valsesiano, e fu costruita la Capanna Vincent sul crinale verso la Pyramide Vincent da qui conquistata alpinisticamente in quel tempo. L’ultimo periodo di sfruttamento è legato all’attività dei fratelli Salati di Alagna, che dettero il nome al passo ora nodo funiviario.
L’impresa, l’impegno, la sfida
Fin dall’inizio la gestione della miniera si caratterizza per uno stile imprenditoriale sconosciuto alle altre realtà minerarie regionali. Essa infatti rientra in un agglomerato economico attivo in altri rami, amministrato razionalmente, in cui si valutavano investimenti sulla base di strategie complesse e non seguendo criteri contingenti. Il piccolo impero economico dei Vincent, analogamente alle altre 88 imprese multinazionali (!!!) dichiarate a Gressoney-Saint-Jean nel censimento del 1806 (Sibilla, 1990), si sviluppa essenzialmente nelle aree economicamente forti di lingua tedesca (le odierne Svizzera e Germania). In particolare Nicolas Vincent ha la sua residenza ed il suo centro economico a Costanza sul Reno (von Welden, 1824). Il metodo di penetrazione dei mercanti walser nelle aree centro-europee è abbastanza noto, almeno per il periodo aureo sette-ottocentesco. Tale modello si basa su un’organizzazione dinamica con almeno una decina di dipendenti, che prevede sede fissa e distribuzione porta a porta; punti forti sono i servizi post-vendita e le tecniche innovative di finanziamento al consumo.
Le imprese walser si inseriscono dunque in quei mercati mediante materiali, tecniche e manodopera provenienti dalla patria d’origine, le alte valli del Monte Rosa. Soprattutto la territorialità walser della manodopera impiegata nell’impresa favorisce da una parte la saldezza dei legami tramite i regolari anche se brevi ritorni stagionali (con la sorprendente evoluzione dei soggiorni da “emigrazione stagionale in Germania” a “ferie lavorative a Gressoney”), dall’altra favorisce l’acquisizione di mentalità e conoscenze a livello europeo da parte di una larga fetta di gioventù. Naturale quindi che in qualche modo, con manodopera evoluta, il modello economico vincente oltralpe cerchi di venire riprodotto dagli stessi imprenditori nelle valli della madrepatria, valorizzando al massimo le risorse locali.
In questo quadro si inserisce l’investimento di Nicolas Vincent nello sfruttamento della miniera dello Stolenberg, che si configura ben più come una esplorazione scientifica pianificata nel lungo periodo, che come una delle tante rapine minerarie sostenute dalle commesse militari sabaude. Diversi indizi corroborano la tesi di una gestione lungimirante della miniera, tra cui l’ordinato svolgimento delle complesse pratiche di concessione con l’amministrazione sabauda, la calma sicurezza nei contenziosi con altri pretendenti, l’unanime consenso popolare per l’impresario, e infine l’assenza di rimostranze per lavori non pagati, che denota la presenza di un progetto da portare a compimento indipendentemente dai risultati contingenti.
Interessante è anche la personalità dei due principali manager della miniera, Nicolas Vincent e suo figlio Jean-Nicolas Vincent, che a Costanza si inseriscono ad alti livelli non solo nella vita economica ma altresì in quella culturale (Gregori, 2003) con le loro collezioni d’arte. Le loro lettere ed i loro documenti contrattuali, come i resoconti d’attività mineraria, redatti in perfetto francese, aprono uno spaccato affascinante sulla vita avventurosa di questi imprenditori fuori del comune, a cavallo delle Alpi innevate che attraversano come pellegrini qualsiasi, rispettando il tempo e le stagioni.
Rivediamo le nostre idee
Si impongono a questo punto diversi interrogativi, in quanto questa vicenda non quadra con l’immagine della montagna a cui secoli di studi storici e antropologici ci hanno abituato. In genere tali studi postulano una forte marginalità della montagna, vuoi per l’oggettiva inferiorità nei rendimenti economici, vuoi per presunte tendenze all’autarchia o all’isolamento. Qui invece saltano via tutti i dogmi alla base di tale presunta marginalità. Vengono smentiti la prevalenza della piccola proprietà coltivatrice, la scarsità degli scambi, e vivaddio anche il monopolio culturale della Chiesa. Un approccio storico più aderente ai dati di cui disponiamo potrebbe contemplare alcune delle ricerche seguenti:
- In che misura il caso “Gressoney XVIII-XIX secolo” sia diffuso, tanto in ambito walser che più generalmente alpino. Elementi caratteristici di un modello alternativo si trovano già ad esempio nell’Alta Savoia del XVII secolo e più tardi in Alta Valsesia (Viazzo, 1990).
- Quali forze stimolano o, al contrario, frenano la dinamica del modello. In particolare è da studiare il ruolo delle forze controriformiste (Chiesa, Stato sabaudo) nelle diverse comunità durante i secoli di “fervore” religioso.
- Tenuto conto dei vincoli ambientali, quali meccanismi regolano, nel corso dei secoli XVIII e XIX, gli scambi con le comunità vicine (Gressoney-Issime) o lontane (Gressoney-Canavese…).
- Quali equilibri reggono la divisione del lavoro sul territorio. Il ruolo delle donne come quello dei salariati esterni (Viazzo, 1990) è fondamentale per capire il funzionamento del modello.
- In che misura l’eredità del periodo aureo walser può aver favorito il successivo sviluppo turistico di Gressoney, con la presenza della famiglia reale.
Detto per inciso, e a mo’ di provvisoria conclusione, lo sviluppo economico sette-ottocentesco di Gressoney contraddice anche al determinismo sia geografico che ambientale. Infatti esso si verifica nella valle walser con più difficoltà di transito transalpino, e nel periodo peggiore della Piccola Età Glaciale. Con buona pace di chi credeva che tutto fosse semplice…
Ringraziamenti
- Le ricognizioni sul territorio sono state dirette e sostenute da Faustino Impérial.
- Il procedimento tradizionale di estrazione dell’oro è stato rivisto da Romano Chapellu.
- Alcuni documenti sono stati forniti da Nadia Guindani.
Riferimenti bibliografici
- Gregori M. F. (2003) – Jean-Nicolas Vincent. Le Château, Aosta, 94 p.
- Jervis G. (1873) – I tesori sotterranei dell’Italia vol. 1° le Alpi. Loescher, Torino, vedere pag. 112.
- Lombardo V. (2015) – La famiglia di mercanti gressonari Vincent e la miniera d’oro dello Stolemberg al Monte Rosa. In Studi Piemontesi 44-2, 347-358
- Lorenzini Ch. (1995) – Le antiche miniere della Valle d’Aosta. Musumeci, Aosta, vedere pag. 157-158.
- Sibilla P. (1990) – La scuola mercantile “Rial” nella tradizione culturale di Gressoney. In Approdi e percorsi, saggi di antropologia alpina. Olschki, Firenze 2012, pag. 97-112.
- Viazzo P. P. (1990) – Comunità alpine: ambiente, popolazione, struttura sociale nelle Alpi dal XVI secolo ad oggi. Il Mulino, Bologna, 427 p.
- Von Welden L. (1824) – Der Monte Rosa. Carl Gerold, Wien, 166 p., tavole ill.
Complimenti per lo studio!
Bellissimo articolo, interessante ed affascinante
Grazie per l’interessante articolo, un racconto che racchiude una parte della storia della mia famiglia con meticolosità e precisione.
Sono felice che la parziale ricostruzione storica fatta abbia la vostra approvazione. In effetti l’attività di Gressoney in quel periodo contiene precise e preziose indicazioni di valore universale (ora si direbbe: globalità, resilienza…) per la gestione delle comunità. Spero che la ricerca prosegua con modalità pluridisciplinari e che sia riconosciuto il suo valore esemplare.
Francesco Prinetti
Articolo preciso e molto interessante. Grazie da parte mia e della famiglia tutta, complimenti.
Buongiorno,
vorrei qualche dettaglio riguardo il percorso, da Alagna Valsesia verso le case miniere per poi arrivare a punta Indren
Faccio fatica a capire la parte da Alpe di Balma a Indren. Cioé c’é un sentiero/mulattiera senza numero C.A.I. oppure non c’é proprio nulla e bisogna arrangiarsi? Ho la cartina della Valsesia quadrante n.o. e non vedo infatti segnavia se non il 210b-10b lungo il vallone delle pisse che parte dalla bocchetta delle pisse, ma non credo sia quello corretto di cui fate riferimento nella guida. Credo che sia leggermente sopra… se poi avete altre cartine e anche foto che posso permettermi di orientarmi meglio vi chiedo gentilmente di inviarmele
Grazie anticipatamente
Francesco
Interessantissimo!
Grazie mille!
grazie di questa esauriente e misconosciuta “storia”! complimenti, è appassionante!
Splendido lavoro di ricerca e ottima forma di comunicazione dei risultati! Anche gli interrogativi che ne scaturiscono sono entusiasmanti… Buon proseguimento! Grazie Francesco.
Densamente interessante. Bravo.