Diversi colli alpini fra il Vallese e la Valle d’Aosta ci mostrano ancora complessi e sorprendenti manufatti “antichi” la cui attribuzione cronologica e contestuale necessiterebbe di analisi specialistiche. I più visibili di tali manufatti sono riconducibili alle due categorie più volte messe in luce negli antichi villaggi in quota (“villaggi Salassi”) e cioè fondi di capanne e muraglie difensive. Ricordiamo che un sito con muraglia e capanne è stato accuratamente sondato nel corso di una ricerca archeologica pochi chilometri all’interno della frontiera svizzera (Mur dit d’Hannibal a Liddes) rivelando un’età romana, tra Repubblica e Impero. Essendosi ora delineata la possibilità di indagini archeologiche sui colli di confine in collaborazione fra le due regioni, vale forse la pena di passare preventivamente in rassegna le potenzialità di tali siti quali si presentano attualmente. Come è nostra abitudine, cerchiamo innanzitutto di inquadrare il territorio dal punto di vista geografico e geologico.
Le Alpi si sono costruite per onde di trasporto tettonico, cioè mediante grandi corpi rocciosi scollati (a moderata profondità) o strappati (a grande profondità) dalle loro placche d’origine, e addossati gli uni agli altri lungo l’arco alpino. La conseguenza onnipresente di questo grande processo è la forma allungata parallelamente all’asse della catena alpina di quasi tutte le formazioni rocciose. Questo è visibile su qualsiasi carta geologica, ma non sempre il semplice viandante da una valle all’altra può facilmente rendersene conto.
C’è però un’altra traccia delle nostre onde di trasporto, e questa è più visibile nel paesaggio. Nella fascia esterna dell’arco alpino, per i valdostani a cominciare da una linea Ruitor-Valpelline verso il Monte Bianco, anche il rilievo registra l’accavallarsi delle onde producendo un’alternanza di creste e valli parallele, appunto come le increspature di un’onda.
Questa conformazione geografica è della massima importanza per la vita e la storia della regione valdostana in quanto rende più valicabile il confine in Alta Valle, dove i nostri valloni si alternano paralleli abbassando la cresta spartiacque, piuttosto che in Bassa Valle dove il rilievo è inasprito da successive dislocazioni dovute a campi di forze orientate diversamente.
Limitandoci al confine svizzero, a partire dal Monte Bianco si susseguono i colli Ferret, Ban Darray, Fenêtre, Fonteinte, Gran San Bernardo, Barasson ovest ed est, e noi ci fermeremo qui. Ma poi abbiamo ancora i colli Menouve, Annibal e la celebre Fenêtre Durand, tutti relativamente accessibili perché impostati su valloni strutturali ad andamento SW-NE in continuità fra i due versanti della catena.
Col Ferret e dintorni
Il primo colle dopo il Monte Bianco è dunque quello di Ferret, tracciato su tenere rocce prevalentemente calcaree interpretate come sedimenti mesozoici scollati dal basamento della placca eurasiatica (di cui fa parte anche il contiguo Monte Bianco).
La larga insellatura è sdoppiata in “Petit” e “Grand Ferret”: al secondo soprattutto si accede con un gran sentiero fra i prati, a modesta pendenza da entrambi i lati, per culminare più o meno alla stessa quota del Gran San Bernardo, intorno ai 2500 metri. Un colle utilizzato dai turisti a partire dal XVIII secolo, ed ora affollato da trailers ed escursionisti del Tour du Mont Blanc. Benché segnalato da Sebastian Muenster nella sua Cosmographia Universalis del 1544, questo passo alpino tranquillo ed agevole che unisce i due tronconi italiano e svizzero della Val Ferret non ha praticamente lasciato tracce nella Storia prima del Settecento. Nessuna testimonianza archeologica si nota sul suo passaggio.
Il contiguo colle Ban Darray è inciso nei calcescisti arenacei della Zona Sion-Courmayeur che qui mostra in modo più spiccato la sua natura di roccia nata da frane sottomarine. Colle agevole pure lui ma un po’ più alto (quasi 2700 m) e senza neppure un sentiero, non presenta tracce storiche visibili.
Fenêtre de Ferret d’en bas et d’en haut
Cambiamo valle e cambiamo nuovamente unità tettonica per arrivare al Col Fenêtre (2700 m), impostato su una serie di nere bande carboniose (scisti grafitici) all’interno della Zona Permocarbonifera Assiale che percorre tutto l’arco alpino occidentale. Lenti di argilliti antracitifere orientate nord-sud si insinuano fra maggiori estensioni di scisti arenacei e conglomerati a ciottoli e ciottolini chiari un po’ schiacciati e allungati. Argilliti e scisti grafitici sono rocce friabili che suddividendosi facilmente in lisce placchette si sbriciolano e abbassano ulteriormente la linea spartiacque.
Il sentiero parte dall’alpe lo Baou, a 2350 m sulla strada del Gran San Bernardo. Il col Fenêtre è intensamente trafficato dagli odierni escursionisti che inanellano altri tre colli in un percorso circolare ormai rinomato. Sul colle è visibile solo un piccolo riparo poco significativo, ma una prospezione archeologica non sarebbe sprecata.
Pur essa servita da un bel sentiero dall’alpe Lo Baou (2350 m), la Fenêtre-d’en-haut o Col de Fonteinte, contigua alla precedente ma leggermente più alta (2725 m), condivide la medesima natura geologica, arricchita da vistosi corpi biancastri di quarziti e da qualche filoncello di rocce a calcite. Tra il colle e la Tête de Fonteinte (2775 m) affiorano altresì abbondanti mineralizzazioni ad ossidi e solfuri di ferro (ematite e pirite).
Inoltre lungo una piccola faglia N-S è visibile un affioramento di antracite, probabilmente usata per far funzionare il forno di cui si ammirano i ruderi a pochi metri dal confine. Ma anche altri reperti meritano tutta la nostra attenzione. Due file di capanne, ridotte alla loro base rettangolare di pietra a secco irregolarmente assemblata per un’altezza di pochi decimetri, si stendono parallele, la prima a ridosso della cresta in una contropendenza allungata a fianco del versante valdostano, la seconda sul largo crestone a lato della principale insellatura del colle. Difficile per questi manufatti azzardare una cronologia in assenza di scavi, ma l’insediamento potrebbe essere antico come i villaggi dei fuggitivi dalla conquista romana.
Colle del Gran San Bernardo
Il gran Colle Pennino o Gran San Bernardo si apre in grigie rocce compatte, a grana fine e tessitura orientata, contenenti quarzo, mica, albite ed epidoto, indicate generalmente come gneiss minuti. Queste rocce, spianate a scalpello, hanno fornito la base per la strada romana e per numerosi edifici di cui rimangono solo le fondazioni in roccia. La storia delle ricerche archeologiche e dei ritrovamenti è qui lunga e ricca, per cui non azzarderemo neppure una sintesi, rimandando il lettore alle ultime ricerche in bibliografia. Notiamo solo che dall’epoca romana (qualche decina d’anni a. C.) al presente si susseguono con continuità le testimonianze sul territorio, sia come infrastrutture (es. diversi sistemi di viabilità) che come edifici ed oggetti, mentre le tracce di utilizzi antecedenti sono assai più labili, probabilmente obliterate fin dai lavori romani.
Inoltre, i momenti di “chiusura” (essenzialmente XVI-XVII secolo) hanno lasciato poche tracce, in ogni caso poco indagate. Trattandosi poi di territori formalmente appartenenti, sia di qua che di là dello spartiacque, allo stesso Stato sabaudo, più che di chiusura si trattava di inaridimento dei flussi transalpini. Lo stesso non si può dire, ad esempio, del colle del Teodulo (Valtournenche) che apriva un passaggio verso l’Alto Vallese solidale con i cantoni indipendenti, ed infatti vi troviamo opere militari di blocco nei trinceramenti seicenteschi dei Fornets.
Colli di Barasson Ovest e Est
Il primo colle ad est del Gran San Bernardo è il Colle di Barasson Ovest (2640 m), raggiungibile in pochi minuti dalla strada sterrata che percorre il suo versante svizzero. Il sentiero valdostano è assai più avventuroso, comportando un dislivello a piedi di oltre 1000 m da Saint-Rhémy (550 m da Plan Puiz). Inoltre il tratto superiore di sentiero è mal tracciato e franoso. In compenso la lunga dorsale erbosa a monte di Plan Puiz regala ambienti di sogno, grandiosi e idillici insieme. Tutto il percorso si svolge sui micascisti a patina bruna del basamento cristallino polimetamorfico: questo termine indica che le sue rocce hanno subito in successione le trasformazioni di due orogenesi, la catena ercinica e quella alpina. Frutto di queste avventure sono tra l’altro alcune popolazioni di grossi cristalli come i granati, che per un lungo tratto di sentiero spiccano in rilievo come piccole ciliegie sulle superfici piane dei micascisti.
L’insellatura del colle, presidiata da un masso granitico con le iniziali I-S (Italia-Svizzera) datato al 1938, accoglie per quasi tutta la sua larga apertura una muraglia di tipo arcaico, stesa ad ostacolare la salita da nord (Vallese), a tratti costruita a sud con un paramento a secco e una risega camminabile (chemin de ronde, dicono gli svizzeri). Nella fascia erbosa tra la muraglia e la cresta del colle (che cade a precipizio verso l’Italia) sono percepibili piccoli ricoveri delimitati da grossi massi in detrito forse spostati. Mucchi omogenei di ciottoli più piccoli spuntano qua e là, facendo pensare a depositi di munizioni. In centro al colle un rudere di edificio in pietra a secco ancora ben leggibile e dai muri ancora alti fino a due metri s’innalza presso il bordo nord della muraglia, sovrapponendovisi in parte. Molto più recentemente, sul bordo est del colle si è installato un traliccio della linea ad alta tensione che ci ha accompagnato per tutto il percorso.
Infine, il sentiero per il Col Barasson Est (2680 m), pur avendo analogo dislivello da Eternon (Saint-Oyen), è assai più agevole e ben tracciato. Il substrato, dove affiora, è sempre quello dei micascisti, che su alcune terrazze e scarpatine inerbite presentano in detrito bei granati in rilievo. L’insellatura del colle, relativamente stretta, reca tracce di interventi antropici, che sembrerebbero comportare lo spostamento di significativi volumi di pietraia. Anche qui infatti ad una fascia erbosa e “naturale” sulla soglia del colle succede una fascia uniformemente ricoperta di pietrame a pezzatura omogenea verso nord, questa volta con accenni di paramento murale verso valle. A monte della fascia a pietrame e verso il lato sud restano ben visibili (forse anche troppo?) diverse basi di capanne della solita tipologia. Non esiste sentiero per scendere in Vallese, ma una traccia collega per cresta i due colli Est ed Ovest permettendo quindi l’accesso dei valdostani al Barasson Ovest e dei vallesani al Barasson Est.
Conclusione
Anche ai quasi 3000 m del Col d’Annibal è visibile una muraglia rivolta a nord, dove un sentiero risale dal Vallese su di un modesto ghiacciaio.
Siamo dunque in presenza di piccoli insediamenti collegati o no ad opere di difesa di un certo impegno, che interessano diversi colli prevalentemente ad est del Gran San Bernardo. Contrariamente ai coevi (?) resti valdostani degli insediamenti in quota, in cui si può riconoscere un’ultima fuga disperata, delle muraglie ai colli svizzeri non appaiono chiare le scelte strategiche. Né l’orientamento a contrastare un nemico da nord aiuta a capire il senso dell’opera. Detto in modo maldestro e politicamente scorretto, per capire qualcosa delle muraglie svizzere ci vorranno molto tempo e molti soldi, mentre per verificare le ipotesi correnti sui “villaggi Salassi” basterà qualche banale datazione al carbonio quattordici. Ma possiamo anche vedere le cose da un altro punto di vista: le muraglie vallesane non saranno forse i reperti in assoluto più urgenti da esaminare, ma se c’è l’occasione di approfittare della collaborazione degli svizzeri, gente ben attrezzata…
Un’indicazione bibliografica
Une voie à travers l’Europe, Atti del Seminario di chiusura, Programma Interreg III A Italia- Svizzera 2000-2006, Bard (Valle d’Aosta) 11-12 aprile 2008, Aosta 2008.