Un buco qua, un buco là, nel bosco selvaggio le tracce non mancano della civiltà. Beato chi va alle Traverse d’Arnà…
Il gran versante che sovrasta Arnad, talmente ripido da mostrare diffusamente la roccia viva, sale con continuità dal fondovalle (circa 350 m) alla cresta che corre oltre i 2000 metri fino al Mont Crabun (2711 m). L’apparente uniformità complessiva del versante nasconde nel dettaglio una sorprendente articolazione del rilievo che si esprime in numerose e più o meno ampie rotture di pendenza, immancabilmente presidiate da villaggetti o edifici isolati.
Molti di questi nuclei sono abbandonati e allo stato di rudere, ma tutti sono collegati da una fitta rete di sentieri in gran parte ancora percorribili e a volte sontuosamente lastricati: sono le cosiddette Traverse di Arnad.
L’esposizione tra sud e sud-ovest, la quota relativamente bassa e la stessa acclività del versante fanno sì che la neve si fermi poco sul terreno, e le Traverse di Arnad per i valdostani (e non solo) diventano in inverno la principale alternativa alle escursioni con gli sci o le racchette. Diversi villaggi sono poi dotati di un pannello metallico con la georeferenziazione ed una brillante sintesi geo-storico-etnografica del sito. Come alternativa alla rovina viene invece promosso il ricorso alle piste carrozzabili per favorire il restauro conservativo, soluzione non perfetta che andrebbe preventivamente ben modulata in rapporto al contesto ed agli obiettivi.
Un breve itinerario ad anello sarà tracciato prossimamente dagli alunni delle scuole locali e riguarderà un manufatto tradizionale assai interessante: il forno da calce, di cui si possono qui incontrare vari esemplari. Il percorso che segue permette di visitarne sei.
Luogo: Arnad, Valle d’Aosta. Dall’autostrada A5 uscita Verrès a destra sulla Statale 26.
Accesso: ad Arnad, dalla Statale 26 girare alla rotonda verso la chiesa parrocchiale di San Martino e seguire la stradina asfaltata dei villaggi fino alla frazione Vacheresse. Qui prendere a sinistra (cioè andare dritto anziché girare a destra con la strada principale) e salire ancora fino al cartello di divieto in frazione Pré. Posteggiare nel minuscolo parcheggio.
Partenza: Pré 815 m.
Punto culminante: Fornelle 1290 m.
Dislivello: 500 m scarsi.
Durata: circa 3 ore di camminata effettiva per l’intero circuito.
Periodo consigliato: dall’autunno alla primavera.
Difficoltà: fra una ripulitura e l’altra alcuni sentieri, per lo più non numerati, tendono a scomparire.
Consigli: in attesa della tracciatura annunciata, munirsi della Carta dei Sentieri n° 12 e/o di una buona traccia GPS.
Dal Pré ci si avvia a piedi sulla stradina asfaltata. Al primo tornante un sentierino a sinistra consente di tagliare arrivando direttamente alla cappella di Champurney. Ripresa la pista, al bivio poco oltre il villaggio si prende a destra e alla curva successiva si lascia finalmente la pista poderale imboccando a destra un sentierino che sale ripido e un po’ incerto. Passata una zona di recente disboscamento si segue il piede di una bella bancata rocciosa, poi si attraversa un piccolo ripiano-belvedere e ci s’inoltra a risalire un valloncello più fresco ed ombreggiato. Alla quota 1100 m circa scopriamo sulla sinistra il primo forno, pochi metri sotto il sentiero. La forma è nettamente tronco-conica, e l’apertura per l’alimentazione a valle è crollata benché ancora idealmente ricostruibile.
Ci resta un dubbio: ma ci sarà nei dintorni la materia prima per far funzionare il forno? In effetti l’Unità geologica degli Gneiss minuti in cui ci troviamo ci ha finora solo fatto vedere rocce a silicati, e nessuna a carbonati. Quarzo, feldspati, mica e clorite sono i minerali che individuiamo negli affioramenti della roccia più o meno granulosa ma quasi sempre tirata in pacchi di fogli paralleli, piani o arricciati, di diverse tonalità di grigio, con venuzze più chiare o più verdastre. Ma basta che giriamo lo sguardo a monte della strada, ed eccoci serviti. Un minuscolo fronte di cava largo qualche metro ci offre, concordante con la scistosità generale, una bancata spessa quasi un metro di ottimo marmo saccaroide a silicati.
I forni da calce: che cos’erano e come funzionavano
Gli edifici tradizionali in pietra erano previsti per stare su mediante muri a secco senza leganti. Malgrado ciò, la “malta” era sovente usata per coibentare meglio i muri e allo stesso tempo renderli più solidi. Questa malta, dal medioevo al XIX secolo, era prodotta mescolando calce spenta (idrossido di calcio) con altri materiali più o meno argillosi o sabbiosi.
L’ingrediente principale era dunque la calce, che poteva essere prodotta a partire da rocce calcaree (calcescisti, marmi) reperite in loco. Il procedimento prevedeva l’utilizzo di un forno, costruzione cilindrica o tronco-conica in pietra a secco, inserita nel terreno in pendenza, in modo che a valle si potesse avere un’apertura alla base di circa 80 cm di diametro. La base del cilindro aveva un diametro medio di 2,5 m e l’altezza poteva essere di 3 m.
Per produrre la calce si provvedeva a disporre delle pietre calcaree a cupola, a partire da 70 cm dalla base, aiutandosi presumibilmente con degli appoggi lungo il muro, oppure già dalla base, fino ad uscire fuori per qualche decina di centimetri. Poi si ammucchiava legna nello spazio vuoto alla base e si dava fuoco per tre giorni, alimentando la fornace attraverso l’apertura a valle. La temperatura doveva raggiungere stabilmente almeno 900°C per permettere la scissione del calcare delle rocce CaCO3 in anidride carbonica CO2 che si disperdeva nell’aria e ossido di calcio CaO detto calce viva.
Una volta raffreddati, i blocchi di pietra calcarea ormai ridotti a calce viva venivano trasportati sul luogo dell’utilizzo e quindi immersi in una certa quantità di acqua per trasformarli in calce spenta o grassello, materiale che mescolato a sabbia forniva il legante per tenere insieme le pietre dei muri. La presa si consolidava all’aria nel tempo con la ritrasformazione dell’idrossido di calcio in carbonato di calcio, cioè in dura pietra.
Il secondo forno da calce appare poco più su ben visibile sulla destra, ad una curva del sentiero. Alcuni alberi son cresciuti dentro, ma nel complesso il manufatto si legge bene. Qui la cava di alimentazione della fornace è perfino spettacolare, con uno spesso livello di magnifico marmo affiorante lungo una paretina che accompagna il versante a franapoggio su una dorsale panoramica.
Con qualche peripezia si arriva al villaggio di Montagne-Verdoyen (a quota 1200 m preferibile la deviazione a destra sotto il villaggio per arrivarci poi in piano da sud) dotato, caso non frequente, di una fontana perenne con ottima acqua di sorgente.
Dalla fontana si continua in piano o con brevi salite e con percorso vario e piacevole, fino ad arrivare a Fornelle, sul ciglio della falda di roccia continentale (Gneiss minuti) che si sporge sui più erosi metasedimenti oceanici (calcescisti della Zona Piemontese). Ma appena prima di Fornelle, e ancora poco prima di congiungerci con il sentiero di Salé che prenderemo al ritorno, passiamo accanto alla bocca del terzo forno, che vedremo per intero salendo sul muretto del sentiero.
Fornelle (1300 m), ora raggiunto dalla pista poderale che sale da Verrès e che scende dal Col Vert (1430 m), è un interessante villaggio che regala un bel panorama sulla grande valle. Sul bordo del ripiano sorge un edificio dall’architettura curata, con una aerea scalinata e una pregevole vasca in pietra monolitica.
Più all’interno sorgono case ora in parte ristrutturate; ai loro piedi è visitabile un articolato complesso di pozzi, ora non più usato grazie alla derivazione d’acqua dalla vasca di Montagne-Verdoyen. In realtà il pozzo sarebbe ancora utile in inverno quando la tubazione deve essere vuotata. Siamo al punto culminante del circuito, momento ideale per il picnic.
Ripresa la via dell’andata, si scende in breve al bivio prendendo questa volta a destra il sentiero segnato n° 2. La discesa prosegue piacevole, per lo più nel bosco, fino a Barmalondze dove potremo ammirare l’ombreggiata fontana, la pietra angolare datata 1580 e il barmet un po’ nascosto sul retro. Subito dopo il villaggio si incontra il quarto forno da calce, in discreto stato nonostante un gran pino silvestre cresciuto all’interno.
Dopo il forno incontriamo un bivio: il sentiero n. 2 scende a sinistra verso Champurney mentre noi viriamo decisamente a destra per Salé. L’avvicinamento a Salé avviene in un ambiente vario, pianeggiante tra boschi di castagno e verticali paretine di roccia. Al villaggio si prende a sinistra la pista sterrata che ci riporta alla macchina, ma appena passato il primo torrentello ci aspettano ancora i due forni più grandi e meglio conservati, uno a monte e l’altro a valle della strada.
Questi forni sono visitabili anche all’interno, con passaggio dall’apertura a valle, ed è verificabile la calcinatura dei blocchi di pietra, come pure la curvatura a cupola aperta verso l’alto. Non vi è invece traccia di risega per l’appoggio dei conci calcarei; ciò fa pensare che i blocchi di calcare venissero sistemati alla base come in figura 8. Cosa notevole per darci un’idea della cronologia, una bella data è incisa alla base sinistra dell’apertura del forno a valle: 1861, periodo evidentemente in cui la calce era assai richiesta.
La stradina asfaltata scende poi nei pressi del pregevole villaggio di Champurney (tra l’altro, belle vasche monolitiche di cui una esagonale), per poi raggiungere il Pré e la macchina.
Complimenti, un articolo molto interessante, ho avuto modo di fare un’escursione li, e devo dire che è stata una giornata bellissima,in un posto altrettanto bello, non avevo però tutte queste informazioni, e son stata felice di trovarle in questo blog.
Grazie
Complimenti Francesco,
Molto belli i forni da calce perchè aiutano a capire come doveva essere fatto quello che è stato ritrovato, purtroppo poco conservato, nello scavo archeologico a Chatel-Argent datato al 1270-1275. Dimostrano come un’attività basata su conoscenze empiriche e collaudata nel tempo, non muti tipologicamente.
Una vasca per “spegnere” la calce viva è stata trovata anche alla Porta Pretoria di Aosta (scavi in corso, contesto medievale). Se il procedimento di produzione della calce è più o meno costante nel tempo, le varie malte risultanti possono essere assai diverse, in particolare il tenore in silice (sabbia, argilla) che può essere aggiunta alla fine o già presente nelle rocce in cottura. La malta romana (vedi mura romane di Aosta) era straordinariamente tenace, non mi risulta si sappia esattamente perché.