Poche tracce umane sono sfuggenti quanto le incisioni rupestri. Chi le fa non lascia DNA, ha garantito l’anonimato. La loro diffusione è universale ma nel dettaglio imprevedibile. Il loro supporto, la pietra, è eterno su scala umana: il tempo viene appiattito e le cronologie appaiono indistinguibili. I segni sono per lo più semplici ed universali, difficile ricondurli ad uno stile o ad una civiltà, arduo legarli ad una funzione sociale o ad uno scopo razionale.
Nei grandi “parchi” alpini delle incisioni, e cioè attorno al Monte Bego e in Valcamonica, alcune incisioni più figurative forniscono riferimenti cronologici, come la raffigurazione del pugnale di Remedello che risale al periodo a cavallo del terzo millennio a. C. Altre figure richiamano attività fondamentali per le comunità, come la caccia o l’aratura. Pochi altri segnali “umanizzano” le incisioni rupestri. Scarse anche le contestualizzazioni, per le quali inoltre si raccomanda cautela, come la lastra con coppelle di una tomba a Saint Martin de Corléans (Aosta). Sospette, anche se meglio databili, le incisioni a soggetto religioso cristiano. Numerose, ma intriganti per la sorprendente continuità, le datazioni esplicite agli ultimi secoli. Insomma, ci sono incisioni antiche e incisioni meno antiche, più recenti o recentissime. Né delle une né delle altre si afferra con sicurezza il senso, che di volta in volta sembra spaziare dall’intenso messaggio ancestrale al gesto noncurante dettato dalla noia, e forse sono veri entrambi.
Infine, è da notare che le rocce incise si trovano con una certa frequenza in posizione panoramicamente dominante, come se l’autore stesse sorvegliando un territorio, una mandria, un gregge. Altre concentrazioni, secondo le zone, si trovano nei villaggi.
In questo desolante (o stimolante?) deserto di certezze e di riferimenti vale forse la pena di avere almeno ben chiaro come variano le tipologie delle incisioni in funzione di alcuni dati tecnici, in particolare la natura della roccia. Va da sé che, per qualsiasi tipo di roccia, il supporto non deve essere troppo fratturato né troppo degradabile per scistosità. Inoltre, il segno sarà tanto più nitido quanto più fine sarà la grana della roccia, cioè la dimensione dei suoi aggregati cristallini. Infine, conoscendo la durezza della roccia, possiamo assegnare l’incisione, a seconda della sua profondità e accuratezza, ad un dato livello nella scala dell'”impegno” che l’autore vi ha profuso: ciò può aiutare a distinguere segni casuali o noncuranti da messaggi fortemente voluti. Senza la pretesa di essere sistematici, e con riferimento ad un largo settore dell’area valdostana, passiamo dunque in rassegna i principali tipi di roccia in rapporto alla loro suscettibilità ad essere supporto di incisioni rupestri.
Serpentiniti
Ospitano le più significative (o discusse?) incisioni valdostane, per cui vale la pena soffermarvisi un po’. Su questo supporto sono presenti, ma non prevalenti, le opere in tre dimensioni come le coppelle. Sono possibili segni lineari, che vengono praticati di solito su superfici strutturali determinate dalla giacitura concordante delle lamelle cristalline di cui il minerale antigorite è costituito. Ma la tipologia più interessante di incisioni su questo supporto viene praticata a martellina su due tipi di superfici: i rilievi levigati dall’abrasione glaciale, e gli specchi di faglia.
Nel caso dell’abrasione glaciale, la serpentinite a dossi “montonati” presenta generalmente una superficie scabra, sovente fascicolata per la troncatura erosiva di pieghe polifasiche; ma le gobbe rocciose localmente si addolciscono in levigature più fini, in croste lisce, in taglienti meandri di imprevedibili modellamenti subglaciali. Su queste superfici ancora ruvide ma meglio lisciate s’iscrive il sorprendente complesso a martellina appena scoperto (2014) nella zona delle Gole di Montjovet. Alla luce radente del sole mattutino, la roccia permette di ammirare un addensamento nitido ed armonico di spesse linee, tratteggi, parabole affiancate, solcato da antiche fratture (che sembrano posteriori – in questo caso l’età minima dei segni sarebbe forse determinabile), e varie figure di animali alpestri.
Nel caso dello specchio di faglia, la roccia è piatta, generalmente inclinata ad almeno 60°-70°. Nell’esempio che prendiamo nella stessa zona, oltre a varie piccole coppelle, la superficie porta un vasto repertorio di forme geometriche tra cui almeno cinque belle figure a cerchi concentrici.
In entrambi i casi la patina rosso-ocracea che si forma su alcune serpentiniti esposte agli agenti atmosferici ricopre le parti da lungo tempo affioranti, mentre la pietra verde appare perfettamente nelle parti dissotterrate da poco.
L’assenza o rarità di licheni su serpentinite può essere dovuta alla scarsa presa degli ancoraggi vegetali sulla liscia superficie delle lamelle cristalline (cause fisiche) o alla tossicità dei minerali componenti (cause chimiche). Sui serpentinoscisti tale mancanza può essere imputata a sfarinamento o desquamazione della roccia.
Clorititi
Il gran piastrone di serpentinite che affiora a sud della faglia Aosta-Ranzola è localmente solcato da una più o meno fitta rete di sottili bande argentee, che in alcuni casi fortunati racchiudono a loro volta variopinte mineralizzazioni a silicati di calcio (granato, vesuviana, diopside, epidoto, ecc.). Si tratta in genere di vene o lenticelle di clorite, a lamelle submillimetriche, schiacciate nella scistosità della serpentinite: costituiscono una fascia di debolezza nella roccia lungo la quale essa si spacca e si espone con frequenza. Su queste superfici fini e tenere, sovente spesse pochi centimetri, l’incisione è facile e permette tutte le tipologie di disegno. Vi troviamo vaste varietà di segni lineari, coppelle e non di rado, ove lo spessore lo consente, cavatura di blocchi e cilindri per lavori ulteriori: mortai, bacini, macine, lastre e quant’altro. In questi casi la roccia viene indicata tradizionalmente come pietra ollare, anche se la composizione (oltre 90 % di clorite) differisce da quella dei luoghi ove il termine è stato coniato.
Questo litotipo consente una grande precisione di dettaglio, per cui vi sono tipiche fra l’altro le microcoppelle, forma di transizione fra disegno lineare sul piano e scultura in tre dimensioni. Su queste superfici troviamo anche la maggior parte delle poche espressioni figurative della regione, in genere animali o rappresentazioni sacre.
D’altra parte, questo è il supporto che attira maggiormente le esternazioni dei contemporanei, e risulta vulnerabile a frizioni anche leggere. Nelle opere a tre dimensioni, infatti, non resistono spigoli taglienti.
In molti casi anche la scarsità di lichene fa pensare che le superfici nel tempo siano soggette a degrado o sfarinamento; però esistono vaste zone a cloritite coperte da licheni (Lac Couvert), e d’altronde le vene cloritiche non appaiono più erose delle serpentiniti incassanti.
Anfiboliti
Trattasi di una roccia densa, sovente scura o verdastra per minutissimi aghetti lucenti, a volte verde chiaro picchiettata o meno di bianco-latte (prasinite), generalmente priva di patina. Salvo eccezioni, la superficie non è lucidabile e fa resistenza allo scorrimento anche senza essere ruvida. L’impasto presenta una grana media o medio-fine ben più tenace della clorite, per cui l’incisione, ancora abbastanza precisa, risulta soprattutto molto più duratura. Il segno non è quasi mai puramente lineare ma croci, solchi e canalette devono essere incisi con un certo approfondimento tridimensionale. La coppella è qui il segno più diffuso, praticata sia con strumento litico e movimento rotatorio che con scalpello metallico.
Il catalogo delle incisioni su anfibolite è dei più vasti: vi si annoverano tracciati concentrici, segni vulvari, “babaciu” caricaturali, oltre ai segni usuali. In ambito alpino nord-occidentale, si tratta indubbiamente del supporto più efficace nel trasmetterci i segni fedelmente come sono usciti dalla mano dell’autore; si tratta anche del materiale che permette all’autore più scelte nelle tipologie espressive, nella appariscenza e nella durata dell’opera. All’opposto dei due casi precedenti, l’anfibolite è assai stabile rispetto agli agenti atmosferici, per cui difficilmente si degrada per sfregamento o dissoluzione, restando appena sensibile alla crioclasi. Anche per questa sua stabilità superficiale, l’anfibolite si copre facilmente di licheni, particolarmente dei generi acidofili Rhyzocarpon e Aspicilia.
Smentendo tutto quanto appena detto, la più importante incisione valdostana su anfibolite, quella della Barma in Valtournenche, è invece tracciata su una superficie alterata e priva di licheni. E non è tutto: la roccia anfibolitica, soprattutto se sottoposta ad abrasione glaciale, può erodersi spontaneamente in cavità molto pronunciate dette tafoni, a volte difficili da distinguere dai manufatti. Il tafone “classico” di solito si forma su pareti molto inclinate e, contrariamente alla coppella, ha una sezione “a botte”, ha cioè un diametro maggiore all’interno rispetto all’orifizio; ma non tutti i tafoni risultano ben riusciti…
Calcescisti
La coppella su calcescisto è assai diffusa nella media e alta Valle d’Aosta, anche dove tale litotipo affiora su minori estensioni rispetto ad altre rocce. Come per la cloritite, l’impressione è che la cedevolezza del materiale stimoli l’incisione, eventualmente a scapito della durata e, in qualche caso, della qualità. In genere non abbondano le forme lineari, che vengono per lo più tracciate a solchi piuttosto spessi e profondi.
Le rocce metamorfiche derivate da sedimenti, come i calcescisti, sono tipicamente molto varie nella composizione, nella tessitura e nell’aspetto anche all’interno di una stessa massa rocciosa. Possiamo dunque scartare subito i calcescisti più scistosi (ricchi di mica) e corrosi (dissoluzione di carbonati, essudati di quarzo), sui quali ben difficilmente le incisioni riescono in modo soddisfacente né si mantengono a lungo. Invece, man mano che la miscela di calcare e di silicati si impasta meglio, dando un prodotto più fine, omogeneo e compatto, la roccia presenta sempre più il giusto equilibrio tra tenacia e lavorabilità, e vi possiamo trovare pregevoli incisioni.
Quando poi la componente marmorea, a grana fine ed omogenea, è predominante, queste rocce vengono anche scolpite ed inserite nelle architetture nobili, come le bifore o gli archi dei castelli. Ma già in epoca megalitica a Saint Martin de Corléans era il calcescisto, in senso lato, la roccia preferita per le stele e le lastre tombali, con 11 esemplari su 15 compresa la lastra a coppelle. Ed anche qui, le lastre meglio composte di materiale fine marmoreo sfoggiano una lavorazione minuta e precisa su vaste superfici.
Alcuni affioramenti di calcescisto marmoreo in Valle d’Aosta ospitano gruppi di coppelle grandi e regolari (Colle di Natse, Petit-Hoel in Comune di Montjovet…), ma cavità simili si formano anche naturalmente per dissoluzione del carbonato (ad esempio lungo il Ru Chandianaz in Comune di Saint-Denis), e la distinzione non è sempre facile.
Micascisti e gneiss
Molto diversificate sono anche queste rocce, soprattutto a causa dei diversi stadi di metamorfismo raggiunti da una stessa crosta continentale. Al bordo della pianura canavesana troviamo i micascisti eclogitici a mica bianca e quarzo con rutilo, giadeite, granato, glaucofane, carbonato e lenti di marmo, oltre a grandi nuclei basici di cui si dirà più sotto. Proseguendo verso l’asse della catena alpina tali rocce si trasformano gradualmente in gneiss a quarzo e plagioclasio con clorite, mica e calcefiri. Altri micascisti e gneiss affiorano tra Ruitor e Gran San Bernardo, anche qui inglobanti nuclei basici ad anfibolo verde. Quasi tutte queste rocce ospitano incisioni rupestri.
Anche qui, come per le anfiboliti ed i calcescisti, la precisione del segno dipende dalla grana della roccia, che è generalmente più grossolana nel caso dei micascisti e più fine nel caso degli gneiss minuti. Data comunque l’abbondanza del quarzo, la roccia è assai tenace ed il segno duraturo. La patina è limitata ad alcuni casi particolari, mentre la copertura lichenica può essere importante.
Relativamente numerosi sono i casi di grosse coppelle sbrigativamente scalpellate e non rifinite. Vi sono comunque casi opposti di ricami leggeri su gneiss minuti. Coppelle, canalette, figure balestriformi, croci varie formano l’essenziale del catalogo, ma la varietà è notevole, con una significativa percentuale di simboli religiosi cristiani. Innumerevoli incisioni si concentrano in quasi ogni villaggio delle zone di affioramento in bassa valle. Da segnalare ad esempio le complesse incisioni a cartina topografica in alcuni villaggi alti del comune di Gaby, dove affiorano metagranitoidi a grana fine. Meno appariscenti o meno conosciute sono le grandi rocce incise isolate o panoramiche.
Sui micascisti e gneiss minuti del sistema Gran San Bernardo (Val di Rhêmes, Valgrisenche, La Thuile, Artanavaz, Vertosan) sono documentate due stele e due lastre tombali di Saint Martin de Corléans, ma per ora poche significative incisioni rupestri risultano in bibliografia (coppelle alle Crotte Basse sopra Vétan, roccia affiorante con coppelle e canalette a Crozatières sotto Saint Nicolas, masso in detrito a Feleumma di Rhemes-Saint-Georges, mascherone a Darbelley di Valgrisenche…).
Eclogiti
Assai conosciute sono le incisioni alle falde del Bec Renon, fra Piemonte e Valle d’Aosta, praticate sulle durissime eclogiti basiche ad onfacite, granato, glaucofane, zoisite e fengite. La grana è grossa, la patina scarsa, pochi i licheni, il segno praticato con straordinaria energia e destrezza sia sulle tavole del filetto (roccia a grana più fine) che nei blocchi del grande “altare” o nelle coppelle in Comune di Donnas.
Altre rocce con incisioni
Le rocce antealpine della Falda Dent Blanche s.l. presentano belle coppelle e canalette su grossi blocchi in detrito in Comune di Quart; si tratta di granuliti acide e basiche (paragneiss kinzigitici ed anfiboliti ad orneblenda) all’Eremo del Beato Emerico. Un complesso sistema di grandi coppelle e canalette si trova su un affioramento di micascisti quarzitici ricchi in clorite alla Croce di Fana. In Comune di Saint-Christophe tre grosse coppelle (la maggiore con diametro 40 cm e profondità 20 cm) sono incise su affioramento di paragneiss della falda inferiore del Mont Mary.
Molto varia come supporto d’incisioni è la serie torbiditica Sion-Courmayeur, con facies calcaree e faces quarzo-micacee; su calcare sono documentate le incisioni sui massi tra Plan Praz e Youlaz (Pré-St-Didier), datate fra XVII e XIX secolo (il masso con la “triple enceinte” di Plan Praz non è datato).
Rocce su cui (per ora) non risultano incisioni
Le argilliti carboniose della Zona permocarbonifera assiale (ad es. Les Suches a La Thuile, o Crévacol) non si prestano alle incisioni; ma le facies più arenacee che le accompagnano potrebbero benissimo accoglierle, come pure i grandi corpi quarzitici.
Più sorprendentemente, non mi sembra sia stata segnalata alcuna incisione su nessuno degli innumerevoli massi erratici in granito, provenienti presumibilmente dal Monte Bianco, che costellano il fondovalle ed i versanti fino a discrete altezze. A maggior ragione nulla è segnalato sul Monte Bianco né sui massicci cristallini che affiorano in quota.
Infine, qualche roccia adatta ad essere incisa si annovera sicuramente fra i calcari giurassici e gli scisti argillosi dell’Ultraelvetico ai piedi del Monte Bianco, ma per ora non ho notizia di ritrovamenti.
Per un solido inquadramento sulle incisioni rupestri alpine e notizie sugli studi:
Société Valdotaine de Préhistoire et d’Archéologie
Tracce Online Rock Art Bulletin
Alcune informazioni sono tratte da:
De Leo S. (2007) – Studio petrografico delle stele dell’area megalitica di Saint-Martin-de-Corléans. Bulletin d’Etudes Préhistoriques et Archéologiques alpines XVIII, 33-40.
[…] legarli ad una funzione sociale o ad uno scopo razionale…Leggi l’articolo completo su Andar per Sassi, geologia e geoturismo in Valle d’Aosta.L’autore: Francesco […]