Da un po’ di anni quando si fa una strada carrozzabile per un villaggio si mantiene anche la viabilità pedonale preesistente. Ma per una ragione o per un’altra alcuni grandi percorsi dopo il collegamento stradale sono stati abbandonati e sono divenuti impraticabili.
Per fortuna c’è sempre l’eccezione: ad esempio, la mulattiera Domianaz-Travod (Châtillon) non ne vuol sapere di scomparire, e con un po’ di pazienza siamo riusciti a ripercorrerla. Abbiamo così indagato tutti i suoi segreti: perché è stata abbandonata, e attraverso quali eventi si degrada pian piano un sentiero lasciato a se stesso in mezzo alla boscaglia di roverella.
Rimane nel catasto dei sentieri, numerato e segnalato, il primo tratto del percorso, da Domianaz alla cascata del torrente di Fontanallaz, là dove si ammirano gli acrobatici archetti dell’antico Ru du Pan Perdu aggrappati miracolosamente alla roccia liscia e verticale. Ora il sentiero finisce lì, ma prima non era così.
Prima quando? Sicuramente l’interruzione risale alla costruzione della Strada della Collina che lì sotto la cascata fa un tornante. La parete a monte della strada è bella sgombra e quasi verticale; la mulattiera è stata troncata e sono apparse evidenze geologiche interessanti.
Sulla parte alta affiora la roccia scura dell’Unità oceanica profonda Zermatt-Saas con le sue metabasiti, rocce derivate dai magmi iniettati sul fondo dell’antico oceano alpino. Al di sotto, un contatto tettonico, cioè forzato dai movimenti interni della roccia, separa l’unità oceanica da una stretta fascia di rocce molto chiare, costituite da gneiss aplitico, una roccia granulosa fine derivata da un granito bianco a feldspati e quarzo. Questa roccia non ha nulla a che fare con le unità oceaniche sovra- e sottostanti, ma faceva probabilmente parte di una delle placche continentali precedenti l’apertura oceanica. La fascia si allunga a mezza costa attraverso il versante, dove già doveva evidenziare una rottura di pendenza in quanto ora la strada asfaltata nella sua salita vi si sovrappone esattamente per lungo tratto. Queste inserzioni di rocce continentali in mezzo alle unità oceaniche, ancorché tutto sommato poco studiate, sono della massima importanza per capire come si è assemblata nel tempo la catena alpina e da dove ha preso i suoi materiali.
Proseguendo poche centinaia di metri su per la strada asfaltata, si trova un invito a monte per entrare nella boscaglia e risalire il versante. Si tratta evidentemente di un tentativo di mantenere in vita il sentiero, tentativo risalente alla costruzione della strada: il nuovo sentiero traversa a sinistra per raggiungere direttamente il precedente tracciato che proveniva dalla zona della cascata. A questo punto siamo finalmente sull’antica mulattiera e ne possiamo seguire tutti gli acciacchi dovuti all’abbandono.
Il guaio più frequente che si incontra non è il peggiore: si tratta di colate di pietre che attraversano per brevi o lunghi tratti il tracciato. Qui i detriti sono di due dimensioni diverse. A volte si tratta di blocchetti di una decina di centimetri, e sono probabili cataclasiti, cioè rocce fratturate dall’azione di una faglia locale attiva che “tritura” la roccia. Più sovente si tratta di blocchi di diverse decine di centimetri di diametro, frutto di crolli che interessano masse di roccia fratturata già in partenza, alla sua apparizione (esumazione) in superficie. Entrambi gli ostacoli sulla via si superano abbastanza agevolmente mantenendo il percorso in linea retta.
Altro discorso va fatto per gli attraversamenti di zone a detrito fine, a volte umide. Qui il terreno evolve rapidamente e il sentiero si perde del tutto. Ciò in quanto questi attraversamenti con accumulo di colate terrose corrispondevano già sovente sul sentiero originario a delle svolte o delle pendenze diverse, che è difficile rintracciare. Non resta che fare pazientemente il giro di tutta la zona mobile per cercare da dove la via prosegue.
L’ultimo ostacolo si incontra in prossimità dell’attraversamento superiore della strada asfaltata. Qui infatti il sentiero non ha beneficiato dello stesso tipo di invito che c’era giù alla partenza. Il materiale di sbancamento della strada è stato riversato sull’arrivo dal basso del sentiero e scavalcarlo non è del tutto agevole. Comunque ormai siamo sull’ultimo tratto della Strada della Collina, e al tornante seguente il sentiero riprende tranquillo sotto le case per raggiungere in breve il villaggio di Travod.
Vale la pena di osservare che un eventuale ripristino dell’intero percorso permetterebbe la visita escursionistica e la valorizzazione di un importante reperto archeologico a testimonianza delle attività ducali nel secolo XVI, secolo buio quant’altri mai in Valle d’Aosta. Sarebbe infatti possibile organizzare ad anello la visita della Barma Roman, riparo sotto roccia datato 1581 e provvisto di interessanti segnature a biacca relative, probabilmente, alle ricerche minerarie in corso in quel periodo e svolte, per conto dei Savoia, da esperti tedeschi.
Non si può non riflettere poi sulla importanza di questi antichi investimenti in viabilità rurale, che rappresentavano un legame essenziale della comunità con il territorio produttivo. Essi infatti collegavano le diverse parti dell’unità produttiva (residenza principale, mayen, villaggio estivo, alpeggio…) permettendo lo sfruttamento contemporaneo dei diversi livelli altitudinali. Questo sistema organico di produzione, perfezionatosi alla metà del XV secolo con la costruzione dei Ru d’arrosage, poteva permettere alla montagna di sopravvivere, se non a volte di prosperare, nei periodi in cui la civiltà alpina era libera di svilupparsi in autonomia senza costrizioni esterne (militari, politiche, ideologiche, religiose) sui suoi movimenti essenziali.
Una proposta, quella del ripristino del sentiero Domianaz-Travod, che giro subito agli amici di Legambiente con una proposta di adozione dell’idea. Grazie Francesco.
Merci Francesco,
comen todzor teu me féi révivre sen què pé no eun coo y-éron le
tzemen dé quieut lè dzor.
Grazie Francesco. Leggo sempre con grande interesse i tuoi articoli.
Grazie Francesco per gli interessanti articoli da cui traspira la passione per la montagna e per la natura
Gentilissimo Francesco Prinetti.
Come sempre la descrizione è impeccabile. Grazie.
Buongiorno caro Francesco (mi permetto di rivolgermi a Lei così…),
è sempre un vero piacere leggere i tuoi articoli e poi, con calma percorrerne le piste…da appassionato di sassi e natura qual sono. Grazie per la passione che leggo nelle tue righe e per la precisione dei diversi passaggi. Leggo “Andar per sassi” ogni volta che risalgo la valle d’Aosta e la passeggiata al monte Tsalleun è un must per le classi che incontro a scuola.
Nella speranza di conoscerti prima o poi di persona e di…tornare presto in Valle!
Grazie e buona domenica.
Che piacere leggere che le nostre parole servono, sapere che delle classi di scuola si confrontano con il geosito del Ponte Romano-Tsailleun e speriamo che piaccia, che interessi. Graie per questa rivelazione, perché avere un riscontro al lavoro del sito non è per niente facile…
Coraggiosi e bravi a farci vedere le testimonianze di un passato che per me e per molti sono ormai irraggiungibili